Fratelli d’Italia cala sotto la soglia simbolica del 29 per cento. Un segnale che, seppur ridotto a pochi decimali nella Supermedia di YouTrend per AGI, assume un peso politico più ampio della semplice variazione percentuale. È la prima volta che accade nel 2025. Il dato si ferma al 28,9%, con un calo dello 0,8 rispetto alla rilevazione del 20 marzo. Una flessione che, per quanto attribuibile in parte a un “outlier” statistico – un sondaggio fuori scala rispetto agli altri – fa rumore nei palazzi della politica e solleva interrogativi nel centrodestra.
Sondaggi politici, Meloni giù sotto il 29%. È l'inizio della fine?
Il segnale è chiaro: Fratelli d’Italia perde consensi e trascina con sé tutta la coalizione di governo. Il centrodestra nel suo complesso scende al 47,9%, perdendo anch’esso 0,8 punti. Non un crollo, ma una battuta d’arresto che alimenta il malcontento in alcuni ambienti interni, già in fibrillazione per le tensioni sul premierato, le scelte in politica estera e la gestione dei fondi europei. Parallelamente, il Movimento Cinque Stelle torna sopra il 12% (12,1%, con un +0,3), mostrando segni di vitalità in un contesto di apparente stallo per il centrosinistra, con il Pd stabile al 22,7% (-0,2). La Lega guadagna due decimali e sale all’8,8%, ma senza veri segnali di rilancio strutturale.
Dazi, Pnrr e stanchezza di governo
Cosa sta pesando sul partito della presidente del Consiglio? Sul tavolo ci sono almeno tre fattori. Il primo è la crisi nei rapporti con gli alleati, sia interni che europei. Il secondo, le conseguenze economiche e diplomatiche dei dazi imposti dagli Stati Uniti, che mettono in difficoltà l’export italiano e generano tensioni a Bruxelles. Il terzo, forse il più silenzioso ma anche il più pericoloso per l’esecutivo, è l’effetto “stanchezza”: un governo in carica da oltre due anni, sempre più percepito come distante e in difficoltà sulla gestione quotidiana, dai rincari al caos trasporti, fino ai ritardi del Pnrr.
Meloni e l’onda che non cresce più
Nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi il dato viene letto con prudenza. Nessun allarme, ufficialmente. Ma l’attenzione è massima. Perché per la prima volta da mesi, la traiettoria del consenso non è più ascendente. E la tenuta della leadership di Giorgia Meloni, finora basata su un racconto solido e su un consenso diffuso, inizia a mostrare piccole crepe. Non si tratta solo di numeri, ma di narrazione. E se il racconto vacilla, il rischio di una frattura politica è dietro l’angolo.
Effetto outlier o nuovo scenario?
Gli esperti di statistica mettono in guardia dall’allarmismo: il calo di FdI potrebbe dipendere da un sondaggio anomalo, non rappresentativo. Un cosiddetto “outlier” che distorce la media aggregata. Ma il clima intorno alla premier è cambiato, e anche chi le è più vicino comincia a notarlo. I sondaggi, del resto, non sono profezie ma termometri. E questo termometro segna una lieve febbre. Basterà un’aspirina per tornare al 30%, o siamo di fronte all’inizio di un nuovo ciclo?
Caccia al centro e prove di ricollocazione
Nel frattempo, nel sottobosco parlamentare si muovono le prime pedine. Azione si astiene sul Def e Carlo Calenda assicura di non flirtare con Meloni, ma nei corridoi la cautela di alcune forze centriste viene letta come l’attesa di un cambio di vento. Forza Italia resta sotto al 10%, e si interroga sul suo futuro dopo Berlusconi. La sinistra, pur senza crescere, guadagna qualche decimale (Verdi e Sinistra al 6,2%) ma non riesce a offrire un’alternativa credibile.
L’elettorato che osserva (e diserta)
La variabile più temuta, in ogni caso, resta l’astensionismo. L’erosione silenziosa di partecipazione che da anni corrode la democrazia italiana. Anche in questa Supermedia non mancano i segnali: la somma degli “altri” partiti e delle liste fuori dai radar delle grandi coalizioni sale al 4,1% (+0,8), segno di una crescente ricerca di soluzioni alternative. Ma il vero punto è: se l’onda Meloni ha smesso di crescere, chi sarà in grado di cavalcare la prossima?