La fine di un’epoca
“Che amarezza.” È difficile immaginare un’espressione più adatta per raccontare l’umore che si respira oggi a Roma, davanti alla Chiesa degli Artisti. È proprio lì, in uno dei luoghi simbolo della memoria collettiva del cinema e dello spettacolo italiano, che si sono tenuti i funerali di Antonello Fassari. L’attore, scomparso il 5 aprile all’età di 72 anni, è stato salutato da una folla silenziosa e assorta, composta da colleghi, amici e fan. Tra i presenti, commosso e provato, Claudio Amendola, che con lui ha condiviso uno dei sodalizi artistici e umani più solidi degli ultimi decenni. “Non ero preparato. Mi stavo preparando, ma non ero pronto ancora. Era l’amico con cui avrei voluto invecchiare”, ha dichiarato con la voce rotta.
“Che amarezza”, l’addio a Antonello Fassari
I funerali si sono svolti alle ore 11 in un’atmosfera composta e senza clamori, senza dirette televisive né clamori mediatici. Ma l’assenza di telecamere non ha tolto nulla all’intensità del momento. Per chi lo ha conosciuto e amato, Fassari era ben più che un attore: era un volto familiare, una voce riconoscibile, una presenza costante in quella che potremmo definire la “romanità” raccontata in tv. Il suo Cesare Cesaroni era diventato un simbolo, una maschera tragica e comica insieme, capace di raccontare la vita quotidiana con ironia e malinconia. Proprio come lui, che da anni conviveva con problemi di salute – si parla di angina pectoris – e che, nonostante tutto, stava per tornare sul set per una nuova stagione della serie.
Il tempo interrotto
“È molto complicato che in questi giorni stiamo girando I Cesaroni. La concomitanza è terribile. Ma so che Antonello avrebbe sorriso”, ha aggiunto Amendola. Le sue parole non sono solo una testimonianza di dolore personale, ma la fotografia di una frattura più grande: la sensazione che qualcosa si sia spezzato non solo nel cast di una serie, ma in una generazione intera cresciuta con quei personaggi. Ludovico Fremont, che interpretava Walter Masetti, ha confermato che la nuova stagione sarà interamente dedicata a lui. “Sarà il nostro modo per tenerlo vivo, per continuare a sentirlo con noi”, ha detto. Max Tortora, che interpretava Ezio Masetti, non ha voluto rilasciare dichiarazioni: “Se n’è andato troppo presto. Ci ha fatto un brutto scherzo”, ha detto sottovoce, prima di rifugiarsi in chiesa.
Una folla composta, ma autentica
Fuori dalla chiesa, nessun clamore. Solo persone in silenzio, molti con gli occhi lucidi, alcuni con una foto o una vecchia locandina della serie in mano. “Era una persona fantastica, un attore straordinario. Ho passato tanti momenti con lui, non ne sceglierei uno solo”, ha detto Cesare Bocci, un altro volto noto della tv italiana. E poi il fratello Claudio Fassari, che con semplicità ha detto: “Antonello era il sorriso di Roma”. In queste parole, pronunciate senza enfasi, c’è tutta la verità di un uomo che ha saputo conquistare il pubblico senza mai imporsi, con una gentilezza rara nel mondo dello spettacolo, e con quella malinconia sottile che spesso solo i grandi attori riescono a trasformare in identità.
L’eredità del sorriso
Antonello Fassari aveva attraversato decenni di cinema, teatro e televisione. Nato nel quartiere romano di Montesacro, aveva studiato recitazione al Centro Sperimentale e si era fatto le ossa sui palcoscenici prima di esplodere in tv. Era stato anche regista, sceneggiatore, comico. Eppure, nonostante la fama arrivata soprattutto con il personaggio di Cesare, non ha mai smesso di restare fedele a sé stesso: ironico, autoironico, capace di smorzare ogni tensione con una battuta, ma anche profondamente attento a ciò che lo circondava. La sua frase diventata tormentone, “che amarezza”, non era solo un gioco comico: era la sintesi perfetta di una filosofia di vita che accoglieva con un sorriso anche ciò che non si poteva cambiare.
Un pezzo di Roma che se ne va
Con la scomparsa di Fassari, se ne va anche un certo modo di raccontare Roma. Non quella patinata o violenta, ma quella vera, di quartiere, fatta di bar, panchine, amici di una vita e risate a denti stretti. Se ne va una voce ruvida e affettuosa, che sapeva dare calore anche alla malinconia. La sua eredità, però, resta viva in chi lo ha conosciuto e in chi continuerà a guardare le sue interpretazioni. Resta nella memoria collettiva di chi lo ha sentito parlare per anni come fosse uno di famiglia. Resta soprattutto nell’affetto di Claudio Amendola, che oggi ha parlato da amico, non da attore: “Avevamo una confidenza che andava oltre l’amicizia. Era parte di me.”
Una dedica che diventa promessa
La prossima stagione de I Cesaroni, già in fase di produzione, sarà dedicata a lui. Una dedica che è anche una promessa: non lasciare che il tempo cancelli il ricordo di una figura che ha dato molto più di quanto si sia preso. “Lui adesso sta sorridendo”, ha detto Amendola. E in questa frase c’è forse il senso più profondo dell’addio: un modo per trasformare il dolore in memoria, la tristezza in gratitudine. Perché Antonello Fassari non era solo Cesare. Era il fratello, il compagno di viaggio, la voce di una Roma che, oggi più che mai, sa cosa vuol dire dire addio con una sola frase: che amarezza.