La Procura generale di Bologna ha chiesto l’ergastolo per tutti e cinque i familiari di Saman Abbas, la diciottenne uccisa perché voleva scegliere la propria vita. Dopo la condanna in primo grado dei genitori all’ergastolo e dello zio a 14 anni, con l’assoluzione dei due cugini, la richiesta d’appello segna un punto di svolta: per l’accusa, il delitto fu il risultato di una volontà condivisa, una sentenza di morte pronunciata dentro le mura di casa contro una figlia considerata colpevole di libertà. Le prove raccolte, dalle intercettazioni alle testimonianze, convergono in una ricostruzione di stampo familiare, in cui l’onore ha ucciso l’amore, e la tradizione ha soffocato la vita.
Saman: la Procura chiede l’ergastolo per tutta la famiglia, ma l’Italia intera è sotto processo
Saman non è solo il nome di una vittima. È diventata il simbolo involontario di una lotta che riguarda centinaia di giovani donne che vivono sul confine tra due mondi: quello delle origini e quello in cui stanno crescendo. Aveva denunciato il matrimonio combinato, era fuggita, aveva chiesto protezione. Ma il sistema non l’ha salvata. È tornata a Novellara convinta di poter affrontare la situazione con razionalità, e in quella terra che doveva essere casa è stata uccisa e sepolta come un peso da cancellare. La sua storia ha squarciato il velo dell’indifferenza su una realtà sommersa che attraversa anche le periferie più tranquille.
Il delitto d’onore che interroga la democrazia
L’omicidio di Saman è un delitto d’onore. La definizione giuridica non esiste nel codice penale italiano, ma la sostanza non cambia. È la punizione per chi trasgredisce un ordine interno alla famiglia, motivato da codici tribali, religiosi o patriarcali che nulla hanno a che vedere con lo Stato di diritto. Il processo di Bologna non è solo un procedimento penale: è anche un confronto fra due modelli culturali. Da un lato, il principio di autodeterminazione. Dall’altro, una visione in cui l’individuo è proprietà del gruppo, e l’ordine familiare vale più della legge. Per questo l’Italia intera è parte in causa. Non per retorica, ma perché ogni sentenza che riguardi casi come questo ha effetti su come lo Stato protegge chi chiede libertà.
Un sistema di omertà, protezione e complicità
Il lavoro degli inquirenti è stato reso complesso da una fitta rete di omertà, protezioni e reticenze. I familiari hanno mentito, coperto, negato. Alcuni sono fuggiti, altri hanno contraddetto le versioni precedenti. Nessuno ha collaborato. L’ergastolo chiesto per tutti i membri della famiglia non è solo una sanzione per il reato, ma una risposta alla compattezza con cui è stato difeso e giustificato. È un messaggio: la giustizia non può fermarsi davanti al muro del silenzio, né accettare il relativismo culturale come attenuante. Lo Stato non negozia la vita.
La questione globale: integrazione, cultura e diritto
Il caso Saman non è un episodio isolato. In tutta Europa, le cronache raccontano vicende analoghe: ragazze scomparse, matrimoni forzati, vite negate. La sfida è quella dell’integrazione, ma non intesa come accettazione passiva. L’integrazione funziona solo se lo Stato afferma i suoi principi non negoziabili, primo fra tutti la libertà personale. Servono leggi più efficaci, scuole che sappiano leggere i segnali, assistenti sociali che abbiano strumenti reali e non solo buone intenzioni. E serve anche un discorso pubblico che non sia né indulgente né strumentale. Perché ogni volta che una ragazza viene uccisa per il suo desiderio di vivere all’occidentale, è l’Occidente a essere messo alla prova.
Il diritto italiano davanti a una nuova sfida storica
Il processo Saman è uno spartiacque anche per la giustizia. L’Italia è chiamata a definire, attraverso la giurisprudenza, una risposta all’altezza di fenomeni che mettono in discussione l’universalità del diritto. Non basta punire: bisogna interpretare, prevenire, proteggere. Ogni grado di giudizio sarà osservato con attenzione non solo dai familiari della vittima, ma da centinaia di ragazze che oggi, in silenzio, si sentono più sole, più insicure, più abbandonate. La legge deve parlare anche a loro.