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Myanmar, l’esercito spara su un convoglio di aiuti: la guerra che impedisce la solidarietà

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Myanmar, l’esercito spara su un convoglio di aiuti: la guerra che impedisce la solidarietà

Nella notte tra martedì e mercoledì, in Myanmar, un convoglio di nove veicoli che trasportava aiuti umanitari destinati alle popolazioni colpite dal recente terremoto è stato attaccato dalle forze armate del regime militare. L’incidente è avvenuto nei pressi della cittadina di Naung Cho, nello stato settentrionale di Shan, lungo la strada che conduce a Mandalay, seconda città del Paese e snodo cruciale per la distribuzione degli aiuti.

Myanmar, l’esercito spara su un convoglio di aiuti: la guerra che impedisce la solidarietà

A denunciare l’accaduto è stato l’Esercito di Liberazione Nazionale Ta’ang, un gruppo ribelle armato che controlla ampie porzioni del territorio nell’area di Shan. Secondo il loro racconto, le truppe della giunta militare avrebbero aperto il fuoco con mitragliatrici pesanti contro i mezzi del convoglio, nonostante gli organizzatori avessero notificato in anticipo il tragitto alle autorità militari. L’esercito, da parte sua, ha negato di essere stato informato, sostenendo che nell’attacco non vi sarebbero state vittime.

La guerra che blocca la solidarietà

L’episodio si inserisce in un contesto segnato da anni di conflitto interno. Dal colpo di Stato del febbraio 2021, che ha deposto il governo civile di Aung San Suu Kyi, il Myanmar è sprofondata in una spirale di violenza e repressione. Il regime militare si trova a fronteggiare una resistenza armata diffusa, che va dai gruppi etnici ribelli a milizie civili improvvisate nate per contrastare la giunta.

In questo scenario, le vittime principali sono le popolazioni civili, intrappolate tra le violenze del conflitto e le conseguenze di catastrofi naturali. Il terremoto che ha colpito la regione di Shan negli ultimi giorni ha aggravato una situazione già disperata, rendendo essenziale l’arrivo tempestivo di aiuti umanitari. Ma la guerra impedisce la distribuzione regolare degli aiuti, trasformando ogni tentativo di assistenza in un rischio mortale.

La strategia della paura

L’attacco al convoglio umanitario non rappresenta un caso isolato. È sempre più frequente, negli ultimi mesi, che le forze della giunta ostacolino, intimidiscano o colpiscano i trasporti di aiuti destinati alle aree controllate dai gruppi ribelli. Una strategia che mira non solo a indebolire militarmente la resistenza, ma anche a privare le popolazioni civili del sostegno esterno, costringendole alla fame e alla disperazione.

Secondo diverse organizzazioni internazionali, si tratta di una vera e propria tattica di guerra: la negazione degli aiuti come strumento di pressione politica e controllo territoriale. I gruppi ribelli, a loro volta, cercano di garantire l’arrivo degli aiuti nelle zone sotto il loro controllo, ma questo li espone a continui attacchi da parte dell’esercito regolare.

L’allarme delle Nazioni Unite

L’attacco al convoglio ha suscitato la condanna delle Nazioni Unite e delle principali organizzazioni umanitarie attive nella regione. Il coordinatore umanitario dell’ONU per il Myanmar ha ribadito la necessità di garantire accesso sicuro e senza ostacoli agli operatori umanitari e ha chiesto alla giunta militare di rispettare le norme internazionali sulla protezione degli aiuti e delle popolazioni civili.

La situazione sul campo, tuttavia, resta estremamente complessa. La giunta militare continua a mantenere il controllo di ampie porzioni del territorio e a esercitare un potere assoluto sulle vie di comunicazione e approvvigionamento. Gli attacchi contro convogli umanitari rappresentano un ulteriore ostacolo agli sforzi della comunità internazionale per alleviare le sofferenze della popolazione.

Crisi umanitaria senza fine

L’emergenza in Myanmar non riguarda solo la guerra o il terremoto. Si tratta di una crisi umanitaria multilivello, dove conflitto armato, disastri naturali e crisi economica si intrecciano. Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, oltre 18 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria nel Paese, mentre più di due milioni sono sfollati interni.

A questa tragedia si aggiungono le difficoltà dei Paesi vicini e della comunità internazionale nel garantire corridoi umanitari sicuri. La militarizzazione del territorio e l’uso della violenza contro gli aiuti umanitari rischiano di condannare milioni di persone a una condizione permanente di emergenza e vulnerabilità.

Una guerra senza regole

L’attacco di Naung Cho è il sintomo più evidente di un conflitto che non conosce regole, dove la distinzione tra obiettivi militari e civili è sempre più labile. In Myanmar, la guerra ha assunto i contorni di una crisi dimenticata, che raramente occupa le prime pagine dei giornali ma che continua a mietere vittime giorno dopo giorno.

Il convoglio crivellato di colpi mentre trasportava beni di prima necessità è l’immagine plastica di un mondo in cui la solidarietà viene percepita come una minaccia, e l’assistenza umanitaria diventa un bersaglio. In attesa che la diplomazia internazionale riesca a riaprire spiragli per un dialogo, sono i civili a pagare il prezzo più alto, nel silenzio di un conflitto che rischia di diventare permanente.

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