Osservatorio sul Women's Empowerment: tre priorità e sei linee d'azione concrete per ridurre il gender gap in Italia

- di: Redazione
 
Nonostante i recenti passi avanti in tema di empowerment femminile - per la prima volta nel 2023 la quota di aziende dell’elenco Fortune 500 guidate da donne ha superato il 10%, nello stesso anno Claudia Goldin riceve il Premio Nobel per l’Economia per i suoi studi pionieristici sul ruolo delle donne nel mercato del lavoro, senza dimenticare l’ingresso “in corsa” di Kamala Harris alla Presidenza degli Stati Uniti, per citare tre buone notizie – il quadro globale e nazionale resta complesso, segnato da profonde disuguaglianze che continuano a limitare il pieno potenziale delle donne in ambito lavorativo e sociale.
È quanto emerge dall’Osservatorio sul Women’s Empowerment di TEHA, presentato alla 50° edizione del Forum di Cernobbio, che mette in luce come, nonostante i riflettori internazionali siano da tempo puntati sulla parità di genere (basti pensare al recente G7), i risultati sono ancora disomogenei, alternando progressi a ritardi preoccupanti. A partire dal mondo del lavoro (vedi Figura 1).



In ambito lavorativo le donne continuano a subire una “doppia penalizzazione”: a livello verticale, con l’accesso ai posti di comando spesso bloccato, e a livello orizzontale con una prevalenza nei settori meno remunerativi. Questo nonostante quasi una lavoratrice su quattro in Europa sia sovra-qualificata per il ruolo che occupa. Ostacoli persistenti, come la bassa partecipazione nelle carriere STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e le disparità salariali, aggravano ulteriormente il quadro. Alle sfide del contesto lavorativo si aggiunge l’onere del lavoro di cura non retribuito, che ancora oggi spinge le donne a lasciare la forza lavoro: nel nostro Paese, nel 2023, sette convalide di licenziamento su dieci hanno riguardato proprio le quote rosa, nel 65% dei casi a causa della difficoltà di conciliare vita-lavoro (vedi Figura 2).



Dinamiche come la motherhood penalty, il lavoro part-time involontario e percorsi di carriera più lenti generano una disuguaglianza stratificata, che proietta le proprie conseguenze nel lungo termine. Basti pensare che il divario di genere negli assegni pensionistici è in media del 30% a sfavore delle donne. L’unica eccezione a questa tendenza, per cui le donne percepiscono importi superiori agli uomini, si riscontra nelle pensioni di reversibilità.
La situazione non migliora spostando lo sguardo verso altre dimensioni. A livello globale, più della metà delle lavoratrici si dichiara preoccupata per la propria salute fisica e mentale, oltre che per la condizione dei propri diritti. A queste si aggiunge la sfida dell’autonomia finanziaria, fondamentale per l’indipendenza e autodeterminazione (eppure, secondo una survey di Global Thinking Foundation, solo il 58% delle italiane ha un conto corrente personale).
I due indici elaborati dall’Osservatorio, il Women’s Empowerment Progress Index (WEPI) e lo EU SheWorks Index, forniscono un quadro chiaro delle sfide ancora aperte, comprese quelle citate finora. Il WEPI misura i progressi nell’empowerment femminile considerando fattori come partecipazione economica, rappresentanza politica, accesso all’istruzione e qualità della vita. Lo EU SheWorks Index, invece, si concentra sulla partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, con particolare attenzione ai settori tecnologici, attesi in rapida crescita per i prossimi anni.
Guardando all’Italia attraverso queste due lenti emerge un quadro fatto di luci ed ombre. Da un lato, il Paese guadagna una posizione nel WEPI passando dal 6° al 5° posto tra i Paesi del G20. Dall’altro, si trova al penultimo posto in Europa per le condizioni lavorative femminili, con un ritardo di quasi 50 anni rispetto al livello di sviluppo di Paesi come Svezia e Finlandia. Questi dati confermano che, nonostante alcuni segnali positivi, come un incremento della presenza femminile in settori manageriali (raddoppiata dal 2008), il Paese resta fortemente penalizzato da squilibri strutturali e culturali (vedi Figura 3).



Per migliorare la situazione, l’Osservatorio ha individuato due priorità. Aumentare il tasso di occupazione femminile rappresenta uno degli obiettivi chiave, non solo per favorire l’inclusione sociale ma anche per stimolare la crescita economica. Riformare i contratti di lavoro e migliorare le condizioni retributive, promuovendo maggiore flessibilità, sono altrettanto essenziali per garantire un migliore equilibrio tra vita privata e professionale.
Il report propone quindi sei linee d’azione concrete. Tra queste spiccano l’aumento dei servizi di assistenza all’infanzia, l’introduzione di congedi di paternità obbligatori e il potenziamento delle politiche di prevenzione della violenza di genere, inclusa quella economica. L’Osservatorio sottolinea, inoltre, l’importanza di garantire trasparenza nelle politiche pubbliche e private, per monitorare i progressi e adattare le strategie di intervento in modo tempestivo (vedi Figura 4).



Sebbene il percorso verso la parità sia ancora lungo, il potenziale economico che potrebbe derivarne è tutt’altro che trascurabile. Le analisi dell’Osservatorio stimano che divario retributivo e occupazionale di genere in Italia potrebbe generare un impatto economico di 203,4 miliardi di euro, pari al 10% del PIL nazionale.
Le attività dell’Osservatorio sono realizzate con il supporto di un gruppo di aziende attivamente impegnate sul tema. Si tratta di ABB, BGY International Services – Gruppo SACBO, Edison, Generali Italia, Molitoria Umbra, Philip Morris Italia
(vedi Figura 5).


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