È un vero e proprio terremoto quello che si annuncia per l’agroalimentare italiano. Secondo l’Ufficio studi di Cia-Agricoltori Italiani, ben una provincia su cinque rischia di subire danni pesantissimi dai dazi imposti dagli Stati Uniti. Nella lista rossa figurano 21 province su 107, accomunate da un dato allarmante: le loro esportazioni verso il mercato americano superano i 100 milioni di euro, rendendole altamente vulnerabili a ogni stretta commerciale. Un’escalation tariffaria, avvertono gli esperti, potrebbe tradursi in un colpo durissimo per interi distretti agricoli, con impatti devastanti sull’economia locale e sull’occupazione.
Shock agroalimentare: Cia lancia l’allarme, una provincia su cinque rischia il tracollo per i dazi Usa
La provincia più esposta è Salerno, che da sola esporta verso gli Usa beni agroalimentari per 518 milioni di euro. In prima fila ci sono le conserve di pomodoro, seguite da ortofrutta lavorata, zucchero, cacao e condimenti. Il comparto locale, che da anni si è strutturato sull’asse transatlantico, rischia oggi di vedere vanificati investimenti, filiere e strategie. Un’interruzione di quei flussi commerciali potrebbe determinare un blocco della produzione e il ridimensionamento delle strutture operative, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni.
Milano e Cuneo, il rischio colpisce anche i colossi dell’export
Milano, seconda nella classifica Cia, ha un’esposizione verso gli Usa pari a 422 milioni, spinta soprattutto dalle bevande alcoliche da aperitivo, che negli ultimi anni hanno trovato grande successo sul mercato americano. Ancora più legata alla tradizione è la provincia di Cuneo, che esporta vino per quasi 400 milioni di euro, con Barolo e Barbaresco come punte di diamante. Qui i dazi non rappresentano solo un ostacolo commerciale, ma una minaccia diretta a una cultura produttiva che ha fatto scuola nel mondo. Le ricadute colpirebbero non solo le esportazioni, ma anche il prestigio e la tenuta internazionale del brand enologico italiano.
Il Prosecco trevigiano e il food di Parma sotto pressione
Treviso, con i suoi 355 milioni di export, si affida soprattutto al Prosecco delle colline di Valdobbiadene, simbolo globale del brindisi italiano. Il rischio dazi si abbatte su una delle produzioni più identitarie del Paese, che ha conquistato il mercato americano grazie a una precisa strategia di posizionamento. Non meno critica la situazione di Parma, cuore pulsante della cosiddetta “Food Valley”: Parmigiano Reggiano, Prosciutto e conserve di pomodoro alimentano un export da 306 milioni. Un sistema che ruota attorno a consorzi, certificazioni e qualità controllata, e che verrebbe penalizzato in modo pesante da nuovi ostacoli doganali.
Grosseto e la Sardegna, i fragili giganti dell’export mirato
Tra le province a più alto rischio figurano anche territori meno centrali ma fortemente dipendenti dal mercato statunitense. A Grosseto l’export agroalimentare verso gli Usa vale 236 milioni di euro, per il 71% costituito da olio extravergine di oliva. La Sardegna, con le province di Nuoro e Sassari, vive una situazione ancora più delicata: qui il Pecorino romano, destinato in larga parte all’industria americana degli snack, rappresenta il 65% delle esportazioni. Interrompere quei flussi significherebbe compromettere la sopravvivenza di una filiera intera, basata su cooperative, allevamenti e tradizioni centenarie.
Le province minori rischiano la paralisi economica
Il presidente di Cia, Cristiano Fini (nella foto), mette in guardia: “Anche dove l’export è sotto i 100 milioni, l’impatto può essere catastrofico”. Le piccole province, infatti, non dispongono della stessa capacità di riconversione o diversificazione dei grandi distretti. Per molti territori rurali, il mercato americano rappresenta l’unico vero sbocco internazionale. Ecco perché l’introduzione dei dazi rischia di creare sacche di crisi profonda, dove il peso relativo dell’export Usa sull’economia locale è altissimo.
Serve una risposta immediata dall’Europa
La Cia chiede che il governo italiano e le istituzioni europee intervengano con urgenza. Lo scenario attuale – fatto di pressioni geopolitiche, guerre commerciali e tensioni su altri fronti come l’ambiente e il digitale – rischia di trasformarsi in una trappola per il sistema agroalimentare italiano. Un sistema che ha investito sulla qualità, sulla filiera corta, sulla certificazione e sull’identità. Se i dazi dovessero entrare in vigore, non basterà più parlare di made in Italy: sarà necessario agire in fretta per tutelarlo davvero.