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Scorie nucleari, Vulci si ribella: l’Italia costretta a ricordare ciò che ha voluto dimenticare

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Scorie nucleari, Vulci si ribella: l’Italia costretta a ricordare ciò che ha voluto dimenticare

C’è qualcosa di profondamente italiano nella protesta che si svolgerà domenica a Vulci. Il Parco archeologico, simbolo di una civiltà che ha lasciato la propria impronta nella storia del Mediterraneo, oggi è chiamato a rappresentare un’altra forma di memoria: quella delle scorie nucleari. Un’eredità che il Paese ha cercato per decenni di dimenticare, nascondere, rimandare. L’Italia ha abbandonato l’energia atomica all’indomani del referendum del 1987, ma le sue scorie sono rimaste. Invisibili, mai risolte. Ora tornano. E lo fanno tutte insieme, come i conti lasciati in sospeso dopo un lungo oblio.

Scorie nucleari, Vulci si ribella: l’Italia costretta a ricordare ciò che ha voluto dimenticare

La Tuscia non è una terra nucleare. È una regione dove le necropoli etrusche convivono con le vigne, dove l’agricoltura è ancora un presidio culturale oltre che economico, dove il silenzio ha il valore di un archivio. Pensare di collocarvi il deposito nazionale delle scorie radioattive non è una semplice questione logistica. È un gesto che interrompe un equilibrio antico, un’idea di futuro legata alla qualità e non alla scoria. Non è una reazione localista o una sindrome da Nimby. Come spiegano molti dei comitati coinvolti, “la contraddizione non è tra modernità e rifiuto, ma tra la narrazione della bellezza e la realtà dello scarto”.

Le scorie che ritornano da lontano
Negli anni, l’Italia ha stipulato accordi internazionali per il trattamento all’estero del combustibile nucleare esausto. Francia e Regno Unito hanno accettato di riprocessare i materiali, ma solo a condizione che i rifiuti risultanti venissero restituiti al mittente. Quelle scorie sono oggi pronte per rientrare. Non possono più restare dove sono. Entro il 2025, l’Italia dovrà accoglierle. Eppure, il deposito nazionale che doveva essere operativo da anni non esiste ancora. Un fallimento politico che attraversa più governi, più legislature, e che ora si scarica sui territori più periferici, come se il tempo potesse davvero sottrarre responsabilità.

Un progetto senza consenso
La protesta che si sta organizzando non è solo una chiusura ed un netto no. È una richiesta anche di metodo. “Vogliamo essere coinvolti prima, non dopo”, dicono i rappresentanti dei comitati della Tuscia. “Non chiediamo privilegi, ma rispetto: ambientale, sanitario, democratico.” La questione non è solo dove mettere le scorie, ma come si decide, con quali garanzie, in nome di quale giustizia. Perché vivere accanto a un deposito, anche in condizioni tecniche sicure, significa accettare un rischio e un’ombra lunga sulla salute delle persone, sul valore dei terreni, sul futuro dei figli.

Montalto e la memoria sospesa
A pochi chilometri da Vulci c’è Montalto di Castro, dove sorge ancora la centrale mai entrata in funzione. Un totem dell’Italia che rinunciò al nucleare ma non chiuse mai davvero i conti con il suo passato. Quella centrale è oggi un monumento a metà, sospeso tra ciò che non è stato e ciò che torna a premere. Il deposito delle scorie si inserisce in questa narrazione irrisolta. Nessuna tecnologia di quarta generazione, nessun reattore “verde”, potrà eludere la questione più urgente: che fare di ciò che resta.

La nuova generazione e le vecchie ombre
Mentre si torna a parlare di energia atomica, mentre il governo valuta una possibile apertura a nuovi impianti, resta il tema di fondo: anche il nucleare più avanzato produce scorie. Meno voluminose, meno pericolose, ma pur sempre scorie. Il ciclo non si chiude mai da solo. Serve trasparenza, serve condivisione, serve una scelta consapevole. E serve che nessun territorio venga scelto solo perché si presume che saprà tacere.

Una giornata per dire basta

Domenica a Vulci non si manifesterà contro la tecnologia o contro l’energia. Ma contro la rimozione, l’imposizione, il silenzio. “Non siamo vuoto – dice una delle promotrici della protesta – siamo paesaggio, comunità, cultura.” Chi abita questi luoghi chiede di non essere trattato come una superficie disponibile. Il no non è una chiusura, ma una proposta: di un’Italia che sa guardare al proprio passato e sa decidere, finalmente, con maturità.

Un fronte ampio, civile e determinato
Alla manifestazione hanno già aderito numerose sigle e amministrazioni. Ci saranno il Comitato Montalto Futura No Scorie, Italia Nostra Etruria, Forum Ambientalista, il Comitato Salute Ambiente Tuscia, il biodistretto della Via Clodia. Sono attesi sindaci, agricoltori, studenti, partiti politici da destra a sinistra: “È tempo di scegliere con coscienza, non per sottrazione. E il diritto a vivere in un territorio sano non può essere barattato con nessuna urgenza tecnica.”

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