Waste Management: futuro e dintorni

- di: Stefania Assogna
 

Cesarina Ferruzzi un iter formativo, completo e vario; si concentra subito sull’ambiente per poi arrivare definitivamente al Waste Management. Una laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, tre master alla SDA Bocconi di Milano. Ha ricoperto incarichi di altissimo livello, è stata Director Of Business Development di Green Holding, dal 2015 si dedica alla libera professione nel Waste Management.





Dottoressa Ferruzzi, sono state individuate ben cinquanta aree lombarde che hanno bisogno di bonifica ambientale, ma vengono in mente anche la Campania e altre zone. Esiste una ricetta per uscire da questa situazione che accomuna differenti regioni italiane nella necessità di una bonifica ambientale?
La Lombardia è stata pioniera in queste attività. Le bonifiche ambientali interessano in larga parte zone di campagna, specialmente la triangolazione tra Genova, hinterland pavese e Milano, su cui insistevano depositi adibiti al petrolio greggio, poi raffinato. Si tratta d’interventi in piccoli comuni scarsamente abitati che spesso non hanno sufficienti risorse e le competenze per affrontare e gestire da soli, la macchina burocratica, amministrativa e tecnica, che una bonifica ambientale implica. Le norme, talvolta sono contraddittorie, con pieghe interpretative che non di rado innescano i presupposti per ricorsi, e sappiamo poi come questi abbiano risoluzioni molto lunghe da attendere. Credo in primis che l’Italia abbia bisogno di un unico procedimento normativo, con pochi passaggi, rendendo più snelle le procedure. Il problema delle bonifiche poi va pensato con un progetto di recupero dell’area, atto a riqualificarla dopo la bonifica, e tale da stimolare l’attenzione, soprattutto dei proprietari delle aree private, per rendere la bonifica stessa un’opportunità e non solo un onere.

Entro il 2035 deve essere portato a termine il Deco-missioning con costi stimati e previsti per 7,2 miliardi di euro. La SOGIN è la società pubblica che si occupa di smantellare gli impianti nucleari sul territorio nazionale e di gestire i rifiuti radioattivi. Ha realizzato il 26% dello smaltimento, spendendo 3,2 miliardi di euro dal 2001 a oggi. L’AIEA (Agenzia ONU per l’energia atomica) ha stabilito i criteri per stabilire il luogo idoneo su cui costruire il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Ritiene questo programma l’unica strada percorribile?
La soluzione della AIEA è l’unica possibile. Può sembrare strano avere problematiche di smaltimento simili non avendo mai fatto funzionare le nostre centrali nucleari; tuttavia questi luoghi esistono e includono materiali pericolosi da smaltire e mettere al sicuro. A parte le centrali nucleari, esistono poi anche composti radioattivi a bassa densità, frutto ad esempio dei sistemi di diagnostica in medicina. Per questa tipologia a bassa densità esistono sistemi di ritiro e per così dire, custodia temporanea dei fusti contenenti i rifiuti radioattivi, ma non risolvono lo smaltimento in modo sicuro e permanente. La soluzione è individuare il luogo sicuro, in un territorio con precisi requisiti come quello di non essere a rischio sismico o idrogeologico; questi composti radioattivi vanno interrati in profondità attraverso un protocollo preciso. E’ un sistema complesso già attuato in altri paesi, come Francia e Finlandia. Nulla che sia più pericoloso, o dannoso del rischio di continuare a trattare questi materiali come se non esistessero. Purtroppo il nostro paese è fortemente limitato dalla forma mentis del “NO”, dato più per pregiudizio e disinformazione che per certezze concrete.

Cambiando argomento, visitando il Giappone, e specialmente Tokyo, è evidente la pulizia. Se da un lato questo si deve a un popolo educato alla cura e mantenimento del proprio ambiente, dall’altro evidenzia anche i mezzi efficaci per un waste management ottimale. L’Italia a che punto è? Ci sono modelli italiani da seguire?
L’Unione Europea sta andando nella direzione di abbandonare le discariche e procedere con programmi importanti sulla “differenziata”, con il riciclo e la trasformazione in CSS, combustibile solido secondario, ottenuto dalla specifica parte secca dei rifiuti non pericolosi attraverso la termovalorizzazione. Il CSS, può diventare una risorsa utile, trovando impiego in impianti industriali, come i cementifici, in sostituzione dei combustibili tradizionali, oppure essere impiegato in combustori specifici dedicati alla produzione di energia elettrica. Quest’ultimo impiego potrebbe trovare un utilizzo in ambito sociale: l’energia prodotta, essendo di proprietà diretta del comune, trasformata in elettricità e riscaldamento, potrebbe essere direttamente erogata alle famiglie meno abbienti e migliorarne la qualità di vita abbassando i costi. In Italia manca l’autosufficienza di un circuito completo fatto da impianti in grado di andare dalla raccolta alla trasformazione in risorse. Su questo punto le Torce al Plasma sono d’indubbia efficacia perché bruciano a temperature elevatissime oltre i 2000 gradi, ma è una tecnologia molto costosa e difficile da attuare. I Termovalorizzatori, al momento sono la soluzione più idonea e in linea con la politica del recupero e la trasformazione dei rifiuti urbani secondo le direttive UE . Lo Stato dovrebbe attivare un programma, per creare impianti portatori di autosufficienza e oltretutto di posti di lavoro, cosa, tra l’altro, non di poco conto. Il resto della UE sul fronte del waste management va spedita verso il futuro, con i termovalorizzatori, noi siamo un po’ rallentati. Paradossalmente paghiamo cifre enormi per l’esodo dei nostri rifiuti verso la Germania dove poi diventeranno “risorsa”, oppure sovraccarichiamo il nord, che, nonostante sia molto evoluto, rallenta a sua volta il suo percorso. Nel bresciano è smaltito l’81% dei rifiuti tossici lombardi e il 17% di quelli nazionali, un primato importante. Credo che il modello da seguire sia Brescia dove, a parte la tecnologia avanzata della termovalorizzazione, sia molto efficace anche il marketing comunicativo, con iniziative messe in atto per sensibilizzare e acculturare la popolazione.

Facciamo un salto indietro nel tempo, alla sua missione della bonifica di una zona del Libano, alla fine degli anni ’80, destreggiandosi in un mondo maschilista, in una questione che nessuno voleva affrontare, in un luogo, non dimentichiamolo, in guerra. Nell’immaginario di chi ama la letteratura, in qualche modo il suo coraggio ricorda quello di Karen Blixen nel suo romanzo Out of Africa, ma a differenza della Blixen, lei, affronta, lotta e vince la sua sfida, trova soluzioni, porta a termine la bonifica e acquisisce perfino più notorietà dei suoi capi, in qualche modo oscurandoli. Che cosa le ha insegnato o come ricorda quell’esperienza?
E’ stata un’esperienza nata per caso, vissuta con l’inconsapevolezza della gioventù. Mi ritrovai catapultata in un mondo molto diverso dal nostro con il quale dover interagire, cercando un metodo di comunicazione e muovendomi in un sistema di equilibri delicatissimi. C’era in atto una guerra civile complessa, che vedeva direttamente avversari i musulmani e i cristiani maroniti. Lavoravamo a Beirut, al molo numero dieci; c’era una nave italiana con tutto il materiale per attuare la bonifica, e a parte questo non avevamo nient’altro. Ero cristiana e lavoravo con i musulmani, sotto la protezione delle forze musulmane che controllavano quella zona. Una situazione particolare, che non piaceva ai miei capi ma che era necessaria per portare a termine il compito. Non ho mai avuto la consapevolezza di essere in pericolo, pur avendo vissuto in uno scenario di guerra, correndo improvvisamente al riparo se necessario. Ricordo la fatalità, con cui vivevamo quei giorni, all’insegna dell’oggi ci sei e domani chissà. La vita è una cosa bellissima, ed è fatta del presente. Nella memoria brillano ancora le luci dei locali notturni, bellissimi, in netto contrasto con le atmosfere che il Libano stava vivendo. Erano luoghi pieni di allegria, di musica, le danzatrici del ventre, i colori, la leggerezza di un momento sospeso, lontano dalla guerra, nessuno sapeva se per pochi ultimi attimi o forse a lungo. Penso di aver tratto da questo una grande forza, qualcosa che in qualche modo ho utilizzato ancora, in altre circostanze.

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