Maxi tagli a Harvard, Princeton e alle istituzioni “troppo liberal”. Stretta sui programmi e minacce sui fondi federali. L’accusa: “Indottrinano contro l’America”.
Donald Trump ha scelto un nuovo nemico per il suo secondo mandato: le università americane. Con una serie di direttive annunciate tra metà marzo e inizio aprile, la Casa Bianca ha dato il via a una campagna di delegittimazione e strangolamento finanziario senza precedenti, colpendo direttamente le principali istituzioni del sapere statunitense – da Harvard a Princeton, da Yale a Stanford – accusate di “promuovere odio verso l’America”.
“Non daremo più un centesimo a chi indottrina i giovani contro il nostro Paese”, ha tuonato Trump durante un comizio in Ohio. Il nuovo piano, già definito dagli osservatori come “McCarthyismo accademico”, prevede tagli miliardari ai fondi federali, vincoli ideologici sui programmi e l’introduzione di un sistema di monitoraggio delle facoltà sospettate di insegnare “contenuti antiamericani”.
Il nuovo volto della censura
Il Dipartimento dell’Istruzione ha già congelato parte dei finanziamenti a diversi atenei considerati “non collaborativi”. Harvard è la più colpita: perderà il 37% dei fondi federali destinati alla ricerca scientifica. Seguono Princeton (-31%), Berkeley (-28%), e Columbia (-25%). I tagli sono accompagnati da lettere ufficiali che impongono una “verifica ideologica” dei programmi, pena l’esclusione da futuri bandi.
Secondo una fonte interna all’amministrazione citata da Politico, la Casa Bianca sta preparando un database nazionale degli “insegnamenti devianti”: corsi su razzismo strutturale, colonialismo, teoria critica della razza e studi di genere sono in cima alla lista nera.
L’appello degli accademici: “Colpo alla democrazia”
Di fronte a questa offensiva, il mondo accademico si è mobilitato. Un gruppo trasversale di 1.932 accademici americani – tra cui premi Nobel, rettori emeriti e professori delle Ivy League – ha firmato un appello pubblico contro la “sistematica repressione della libertà accademica”. Il documento, promosso dalla American Association of University Professors (AAUP), denuncia “l’uso selettivo dei fondi pubblici come arma politica per distruggere il dissenso culturale”.
“Siamo di fronte a un tentativo deliberato di trasformare le università in strumenti di propaganda. È un metodo da regime autoritario, non da democrazia costituzionale”, si legge nel testo, definito “l’appello più ampio mai lanciato dal mondo universitario americano negli ultimi 50 anni”.
I rettori si ribellano, ma il Congresso tace
Anche molti rettori hanno preso posizione. “Non accetteremo che un governo decida cosa possiamo o non possiamo insegnare”, ha dichiarato Richard Saller, rettore di Stanford. “L’università esiste per sfidare le verità assolute, non per compiacerle.”
Ma il Congresso – controllato saldamente dai repubblicani – resta in silenzio. Le commissioni bilancio hanno già approvato i primi tagli. Le proposte democratiche per vincolare i fondi federali al rispetto dei principi costituzionali sono rimaste lettera morta.
Istruzione per pochi
L’attacco alle università si inserisce in una più ampia strategia di controllo culturale: meno istruzione, meno pensiero critico, più obbedienza. In diversi Stati repubblicani – Florida, Texas, Alabama – si stanno già applicando manuali scolastici riscritti per ridimensionare la schiavitù, rimuovere la teoria dell’evoluzione e promuovere la “centralità dei valori cristiani nella fondazione della nazione”.
“L’élite intellettuale ci disprezza. È ora di rimetterla al suo posto”, ha dichiarato Steve Bannon, ideologo di riferimento del trumpismo, in un’intervista del 27 marzo. Una popolazione ben istruita è più difficile da governare. Questa è la verità.
Un bivio storico
Ciò che è in gioco non è solo il destino di qualche ateneo prestigioso. È il futuro stesso della democrazia americana. “Le università sono l’ultima barriera contro l’autoritarismo”, ha detto la storica Jill Lepore. “Distruggere la loro autonomia significa spegnere il pensiero critico in un’intera generazione.”
Ma nella nuova America di Trump, la libertà di pensare non è più un diritto: è un lusso. E i primi a pagare saranno i più giovani.