Il segnale è chiaro, e arriva con la forza di un colpo di gong nel silenzio teso dei mercati: l’economia giapponese sta rallentando.
(Foto: il premier Shigeru Ishiba).
Il Cabinet Office ha diffuso stamattina la stima preliminare del Leading Indicator per febbraio 2025, in calo a 107,9 punti rispetto ai 108,2 (rivisti) di gennaio. La flessione, seppur contenuta (-0,3%), è il simbolo di un malessere più ampio, esploso oggi nel crollo generalizzato delle borse asiatiche e nel ritorno di uno spettro temuto da mesi: la recessione globale.
Superindice in calo, mercati in fuga
Il Leading Index, spesso definito "superindice", anticipa l’andamento dell’economia nei mesi successivi e viene utilizzato come bussola dai governi e dagli investitori. Anche se il valore di febbraio è leggermente superiore alle attese degli analisti (107,8 punti), il trend è inequivocabile: il Giappone frena. Senza parle del crollo delle borse asiatiche di questa mattina, che avrà ripercussioni sull’economia reale se dovesse confermarsi nei prossimi giorni.
Dietro questo scivolone, oltre ai segnali provenienti da Tokyo, pesano l’instabilità politica negli Stati Uniti, l’impennata dei prezzi energetici e il rallentamento strutturale della Cina. Ma la fotografia giapponese è la più nitida: l’economia non è in crisi nera, ma si sta preparando a qualcosa di molto simile.
Cresce solo il presente, ma il futuro vacilla
Il report del Cabinet Office mostra un contrasto inquietante: mentre il Coincident Index – che misura la situazione economica attuale – è salito a 116,9 punti (da 116,1), l’indice lagging, che guarda alle prospettive a 12 mesi, scivola a 110,8 da 111,2. Una dinamica che gli economisti giapponesi sintetizzano così: “Il presente tiene, ma il futuro scricchiola”.
Come ha spiegato oggi l’analista Hiroshi Saito, dell’Istituto Nomura, “i dati mostrano un’economia in equilibrio precario: la spesa interna è debole, le esportazioni sono colpite dalle tensioni con l’Occidente, e l’inflazione erode il potere d’acquisto. I segnali anticipatori stanno lanciando l’allarme”.
Il nodo della domanda globale
Il problema di fondo è uno: la domanda globale si sta contraendo, e il Giappone – come potenza esportatrice – ne sta pagando le conseguenze. Le imprese giapponesi sono esposte in modo diretto alla volatilità del commercio mondiale, oggi stretto tra i dazi imposti da Trump, la paralisi tedesca, e le distorsioni logistiche causate dal Mar Rosso.
La Bank of Japan, che si era avviata timidamente verso una normalizzazione monetaria, potrebbe trovarsi costretta a frenare. Ma con l’inflazione ancora sopra il 2%, anche questo margine si restringe. Il risultato è un mix pericoloso: crescita asfittica, politica monetaria incerta, mercati nervosi.
Lo scacchiere mondiale si incrina
Il Giappone è solo la punta dell’iceberg. Il peggioramento dei suoi indicatori anticipatori non è un fatto locale, ma globale. I modelli econometrici delle principali banche d’affari, da JPMorgan a UBS, convergono: entro l’estate, l’economia mondiale potrebbe subire un doppio shock, tra contrazione della produzione industriale e riduzione dei consumi.
L’Asia, tradizionalmente considerata il motore della crescita, oggi si presenta come il termometro più sensibile di un sistema in affanno. Il Giappone lancia l’allarme con i suoi numeri, ma è l’intero continente a soffrire.
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“Non si può ignorare la curva dei superindici: il rallentamento è iniziato”, ha dichiarato oggi Shunichi Tanaka, ex membro del board della BoJ. E i mercati l’hanno capito benissimo.