È un’analisi implacabile quella firmata da Giampaolo Galli (foto) per l’Osservatorio Conti pubblici italiani (Osservatorio CPI).
L’economista, già direttore generale di Confindustria, denuncia senza ambiguità la portata distruttiva delle misure annunciate da Donald Trump il 2 aprile 2025: una valanga di dazi che, come puntualizza l’Osservatorio, non trova precedenti nella storia economica contemporanea. “Da almeno 150 anni non si vedevano tariffe così elevate e applicate a un numero così vasto di Paesi”, scrive Galli, sottolineando come il contesto attuale renda l’impatto potenzialmente ben più devastante di quello generato dallo Smoot-Hawley Act nel 1930, che contribuì a innescare una depressione mondiale.
“Il dazio medio imposto da Trump supera il 20% e rappresenta uno shock all’economia mondiale maggiore di quello degli anni Trenta”, afferma l’Osservatorio CPI.
Ma c’è di più: i bersagli della guerra commerciale non sono soltanto i competitor strategici degli Stati Uniti, bensì i principali alleati storici, dall’Unione Europea al Giappone, fino a partner cruciali nell’Indopacifico come Vietnam (46%), Sri Lanka (44%), Tailandia (36%), Taiwan (32%), India (26%), Corea del Sud (25%) e Giappone (24%). “Una scelta economicamente irrazionale e geopoliticamente suicida”, evidenzia l’indagine dell’Osservatorio, che rimarca l’incoerenza strategica: se l’obiettivo era contenere la Cina, “perché colpire i potenziali alleati dell’Indopacifico con dazi proibitivi?”
L’Osservatorio CPI sottolinea anche l’isolamento crescente degli Stati Uniti. Le prime reazioni non si sono fatte attendere: l’Europa ha accelerato un accordo di libero scambio con il Mercosur, mentre si moltiplicano le aperture verso Pechino. A loro volta, altri Paesi colpiti, come il Canada, si stanno coordinando per risposte comuni. “Sta prendendo forma un mondo in cui si allentano le alleanze americane e si intensificano le tensioni bilaterali”, scrive Galli.
Pressione globale e reazione a catena
Come puntualizza l’Osservatorio, l’effetto domino si avvertirà anche sui mercati interni di tutti i Paesi colpiti. Le imprese escluse dal mercato Usa cercheranno nuovi sbocchi, accentuando la concorrenza su altri mercati. L’Italia, avverte Galli, subirà un aumento della pressione competitiva non solo dalla Cina, ma anche dagli altri membri della stessa UE. Il risultato? “Una corsa alla protezione doganale, un tutti contro tutti che rischia di disintegrare la rete di alleanze e moltiplicare le spinte protezionistiche”, spiega l’Osservatorio CPI, con un timore esplicito: l’esplosione di tensioni perfino all’interno dell’Unione Europea.
Galli mette in guardia: il protezionismo è un “genio maligno” che, una volta liberato, è difficilissimo da ricacciare nella bottiglia. E proprio per evitare questo tipo di derive, sottolinea l’Osservatorio, nel secondo dopoguerra furono create istituzioni internazionali basate sul diritto, non sulla forza. Oggi quel sistema è sotto attacco.
Dazi come strumento di potere: il modello autocratico
L’aspetto più inquietante, secondo l’Osservatorio CPI, è l’uso politico e punitivo dei dazi. Come afferma Galli, si profila uno scenario in cui Trump utilizza le tariffe come strumento di estorsione politica ed economica, premiando i Paesi che si piegano e punendo quelli che resistono. Nei prossimi giorni, si vedrà quanti leader “andranno a Canossa”, avverte l’analisi.
Ma l’estorsione riguarda anche le imprese americane. Galli ricorda come già nel primo mandato Trump avesse creato fondi federali per compensare gli agricoltori colpiti dai contro-dazi. Oggi, il rischio è che la Casa Bianca usi gli stessi meccanismi in modo selettivo: “premiando le aziende fedeli, punendo quelle dissenzienti”. L’Osservatorio CPI segnala casi eclatanti: il taglio di 400 milioni di dollari alla Columbia University per motivi politici, le minacce agli studi legali che hanno difeso oppositori. “Con le imprese, può succedere lo stesso: aiuti solo se non critichi il governo, non finanzi i democratici e fai donazioni al GOP”, scrive Galli.
“I dazi diventano così un mezzo per consolidare un potere autocratico e minacciare i limiti della democrazia americana”, denuncia l’Osservatorio CPI.
Una strategia economica senza senso
Sul piano strettamente economico, l’Osservatorio smonta la narrativa trumpiana secondo cui i dazi rilanceranno la manifattura. Anche nella più ottimistica delle ipotesi, l’aumento dell’occupazione nel settore manifatturiero sarebbe marginale: dal 8% al massimo al 10%, a fronte di un crollo ventennale dal 27%. “Una promessa impossibile”, afferma Galli, che evidenzia come gran parte della domanda industriale si traduca in servizi e non in nuovi posti nelle fabbriche.
Poi c’è la questione dei numeri farlocchi. Trump afferma che l’UE applica il 39% di dazi contro gli USA. Ma secondo i dati della Banca Mondiale, ricorda l’Osservatorio CPI, il dazio medio europeo è del 4,6%. Come ha fatto allora Trump a parlare di 39%? “Con una formula assurda: ha diviso il deficit commerciale Usa per le importazioni da quel Paese”, scrive Galli, spiegando che è come dire che se gli americani comprano tanto vino italiano, è colpa di un dazio europeo inesistente.
Il report ironizza: “È come sostenere che ognuno di noi debba pareggiare la bilancia con il supermercato dove fa la spesa”. La conclusione è categorica: il deficit bilaterale non ha alcun senso economico, e fondare una guerra commerciale su questo criterio è una “colossale sciocchezza”.
L’autocrazia economica dietro la retorica populista
In chiusura, l’Osservatorio CPI denuncia il pericolo sistemico rappresentato da questa politica: “non solo è la più stupida guerra commerciale mai vista — come ha scritto il Wall Street Journal — ma è anche un attacco metodico all’architettura del commercio globale e alle basi della democrazia liberale”.
Come ribadisce Galli, il trumpismo economico non ha coerenza né visione: solo l’intenzione di rafforzare il potere personale a scapito di regole, alleanze e trasparenza. La retorica anti-globalista si salda con un progetto autoritario, dove il commercio diventa una clava, e il disordine economico globale una scelta deliberata.
“È un processo privo di logica e fondato su manipolazioni grossolane dei dati. Ma dietro questa apparente confusione, si intravede un disegno di potere che minaccia non solo l’economia mondiale, ma la democrazia americana stessa”, conclude l’Osservatorio Conti pubblici italiani.