Alcuni anni fa ebbi modo di esprimere il mio totale dissenso all’introduzione della Tobin Tax nel nostro Paese. Tempo dopo, molto opportunamente, il Corriere della Sera, dopo il risultato della Brexit, suggerì l’opportunità di un ripensamento all’adesione italiana all’imposta sulle transazioni finanziarie. Il tema è stato, con la consueta chiarezza, ampiamente illustrato sempre sul Corriere in un articolo del 14 agosto u.s., a firma di Ferruccio de Bortoli. A me tocca di voler riproporre, per quel poco o molto che possa valere, ciò che ebbi modo di dire quando questa imposta venne introdotta nel nostro Paese. La norma aveva come finalità, così almeno venne configurata, di eliminare gli effetti della speculazione economica, manifestando nella sostanza, ancora una volta, una visione anticapitalista, a favore dell’ipotetica difesa del mondo del lavoro. Tuttavia oggi, alla luce della celerità con cui i capitali si muovono nel mondo, essa è assolutamente priva di senso, e giova ricordare che il capitale migra e si alloca solo dove le condizioni economiche di un Paese consentono la sua crescita. Il risultato dell’introduzione nel nostro Paese di questa norma, voluta dall’inutile governo Monti, è che i capitali sono trasmigrati, le imprese si sono delocalizzate, e il gettito di questa imposta che era stato entusiasticamente previsto non si è minimamente manifestato.
In una nazione dove, come bene ricorda de Bortoli, il tasso di risparmio dei cittadini è tra i più alti del mondo, si sta verificando quello che era inevitabile; i risparmiatori cominciano a cercare di allocare i loro risparmi in aziende straniere disertando, invece, quelle nazionali e, ciò nonostante, i nostri governi non se ne danno carico. La verità che prevale ancora una volta in Italia è quella concezione di anticapitalismo che la connota da più di trent’anni, tipica della sinistra italiana, e il continuare ad ostinarsi a mantenere in vita questa norma, nonostante la constatazione comparativa che in Inghilterra, in Francia, o in altri Paesi come la Svezia, la Tobin Tax di fatto non ha valenza, lo conferma. L’unica strada possibile nell’attuale situazione economica mondiale, che sempre più sta manifestando le sue drammatiche problematiche, sarebbe ragionare in modo sereno e distaccato, prendendo atto che la crescita economica del nostro Paese nel dopoguerra, che ha consentito di sanare i drammi che la Seconda Guerra Mondiale aveva provocato, era improntata ai principi del liberalismo einaudiano che prevedeva che i capitali trovassero vantaggiosità nell’investimento creando al contempo posti di lavoro e opportunità per il Paese. Oggi questa concezione assolutamente incontrovertibile viene sistematicamente avversata in odio al concetto di capitalismo diffuso, facendo sì che il nostro Paese, come i dati ultimi dimostrano, con un debito pubblico arrivato a 2.281 miliardi di euro e un tasso di disoccupazione generale all’11,3%, sia indubbiamente tra gli ultimi della UE.