La fusione di UniCredit con Mps: le ragioni del no del sindacato

- di: Diego Minuti
 
I sindacati danno un fragoroso ''benvenuto'' all'acquisizione del Monte dei Paschi da parte di UniCredit con un comunicato che vede, in calce, le firme di tutti i sindacati di categoria dell'istituto di credito toscano. Cosa che fa capire che l'operazione, se i rumors - come peraltro accade sempre in faccende come questa - saranno confermati da atti concreti, viene vista come il fumo negli occhi dalle segreterie territoriali di Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin, che sicuramente avranno l'approvazione di quelle generali.

I sindacati parlano di ''dubbi e preoccupazioni'', formuletta che viene sempre utilizzata, ma che, nel caso dell'acquisizione del Monde dei Paschi, è l'esatta traduzione di quello che i sindacati pensano di una operazione che appare non chiara. O meglio, chiara nelle sue finalità (consentire ad UniCredit di crescere in Italia, mettendosi in portafoglio una rete di agenzie e di competenze di primo livello), ma che prelude ad un futuro alleggerimento dell'impegno nel Paese, a tutto profitto del versante europeo, per il quale si fa il nome, da giorni, come possibile partner, di CommerzBank.

Su questo i sindacati non intendono recedere dalla loro linea, preannunciando barricate all'ipotesi di uno scorporo di Unicredit Europa da Unicredit Italia e quindi la conseguente acquisizione del Monte dei Paschi di Siena. Le modalità che sembrerebbero potere portare alla definizione dell'operazione, per la loro stessa natura, non possono essere in nessun modo metabolizzate da un sindacato interno (e non solo) che ha sempre insistito con forza sulla necessità di un rilancio dell'istituto di credito senese, il cui ruolo nella realtà territoriale di riferimento (la Toscana) verrebbe, ovviamente, ad essere indebolito, sacrificato sotto il nome di una riorganizzazione interna. Una definizione dietro la quale si chiuderebbe il cerchio ''contabile'' consentendo tagli pesantissimi al personale.

I sindacati temono un taglio di tremila posti di lavoro (sui ventunomila attuali), ma, a dare credito ad altre voci che si inseguono, la stima sarebbe prudente, forse anche troppo, perché alla fine a saltare potrebbero essere seimila posizioni, solo in parte coperte con un ingresso ogni tre uscite. Ma, quale che sia alla fine il punto minimo di uscite che toccherà i dipendenti dell'istituto senese, la prima considerazione è che l'impegno dello Stato per salvare il Mps - che oggi si è tradotto in sette miliardi di euro immessi per dare respiro e prospettive alla banca - sarà destinato ad allentarsi, dal momento che passerebbe dall'attuale 68,25 % del capitale ad un residuale 5 per cento, che è sempre - come si direbbe in gergo giovanile - tanta roba, ma non quella che potrebbe essere definita come una presenza determinante. E questo cozza con l'auspicio/speranza dei sindacati di vedere nel capitale azionario del Mps una presenza pubblica che possa essere determinante nelle scelte di gestione di un istituto che ha bisogno di riappropriarsi di una capacità propositiva che il passato, recente e no, ha cancellato.

È comprensibile che la battaglia dei sindacati sia quello di salvaguardare quanti più posti di lavoro possibile, ma una speranza, quando si parla di soldi e finanza, deve essere fatta propria anche da chi decide. Ed in questo momento le decisioni sono in mano a UniCredit che deve pure fare i conti - in ogni senso - con la delicata contingenza del mondo bancario. L'acquisizione del Monte dei Paschi sarebbe operazione di prestigio, ma ben difficilmente essa potrà essere indolore. D'altra parte, mentre si aspettano per domani i dati relativi alla terza trimestrale 2020, non si possono dimenticare i risultati della semestrale, che ha fatto segnare un "rosso" di più d'un miliardo di euro. Per domani, quindi, ci si attende una controprova, anche se le previsioni non si può certo dire che volgano al bello.
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