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Extra Ue, avanzo a 6,9 miliardi: import giù, export in stallo

- di: Bruno Coletta
 
Extra Ue, avanzo a 6,9 miliardi: import giù, export in stallo
Extra Ue, avanzo a 6,9 miliardi: import giù, export in stallo

L’Italia “compra” meno dal resto del mondo, “vende” con il freno tirato: il saldo migliora, ma il motore non è (solo) la crescita.

L’immagine di novembre è da manuale di economia in chiaroscuro: l’export verso i paesi extra Ue27 resta praticamente fermo sul mese, mentre l’import scivola con decisione. Risultato: il saldo commerciale si rafforza e arriva a +6,918 miliardi di euro, in aumento rispetto ai +5,358 miliardi dello stesso mese del 2024. È la fotografia scattata dall’Istat nella statistica flash sul commercio extra-Ue.

Ma attenzione al “dietro le quinte”: un avanzo che sale perché compriamo meno non è la stessa cosa di un avanzo che sale perché vendiamo di più. E la lettura, qui, va fatta con la lente d’ingrandimento.

I numeri chiave: il saldo cresce, ma per vie traverse

Nel confronto con il mese precedente, le importazioni extra-Ue crollano di -7,4%, mentre le esportazioni risultano stazionarie. Su base annua, la frenata è più netta: export -3,3% (dopo il +4,1% di ottobre), import -11,3%. In mezzo, il saldo che si irrobustisce e un dettaglio decisivo: il deficit energetico scende a -3,152 miliardi (da -4,177 miliardi un anno prima), mentre l’avanzo dei prodotti non energetici sale a 10,070 miliardi.

Tradotto: una fetta importante del miglioramento arriva dalla bolletta energetica più leggera e da acquisti complessivamente più bassi dall’estero, non da una corsa delle vendite italiane.

Cosa si muove (e cosa si ferma) dentro l’export

L’export “piatto” sul mese è la somma di spinte opposte. Secondo Istat, crescono le vendite di beni strumentali (+4,2%) e beni intermedi (+0,7%), ma calano energia (-9,2%), beni di consumo non durevoli (-3,5%) e durevoli (-1,1%). In altre parole: le imprese riescono ancora a piazzare componenti e macchinari, mentre zoppicano su energia e consumi.

Sul confronto annuo, la frenata dell’export è guidata soprattutto da energia (-37,8%) e beni durevoli (-27,2%), con una discesa anche dei beni strumentali (-6,3%). Fa eccezione il segmento dei beni intermedi, che cresce del +11,9%.

Un caveat tecnico pesa sulla lettura: Istat segnala che la flessione tendenziale è influenzata dalle vendite di mezzi di navigazione marittima registrate a novembre 2024. Depurando l’effetto, la stima è di un calo più contenuto: da -3,3% a circa -1,7%.

L’import: la caduta è generalizzata, l’energia fa la differenza

Dal lato import, la discesa mensile è ampia e “diffusa”: l’unica categoria in controtendenza sono i beni intermedi (+1,6%). Il colpo più forte arriva dai beni di consumo non durevoli, che scendono di -21,0% sul mese.

Su base annua, l’import cala dell’11,3% e la contrazione riguarda tutti i raggruppamenti, tranne ancora i beni intermedi (+0,9%). Qui la spiegazione è abbastanza lineare: minori importazioni di energia alleggeriscono il totale e migliorano il saldo energetico.

Geografia degli scambi: chi rallenta e chi sorprende

Il mese racconta anche una mappa di contrazioni pesanti. Sul fronte export annuo, Istat registra riduzioni marcate verso Turchia (-41,1%), paesi Asean (-21,6%) e Regno Unito (-18,0%). Calano anche le vendite verso Mercosur (-5,8%) e Stati Uniti (-3,0%).

Non mancano però isole di crescita: aumentano le esportazioni verso paesi Opec (+18,8%) e Svizzera (+12,2%). Dal lato import, la contrazione più ampia riguarda gli acquisti dai paesi Opec (-34,6%), seguiti da Svizzera (-14,1%), Regno Unito (-12,6%), Stati Uniti (-8,2%), Turchia (-6,8%) e Cina (-4,2%). Al contrario, crescono gli acquisti da Asean (+19,4%), India (+2,7%) e Mercosur (+2,6%).

Il convitato di pietra: dazi e clima internazionale

Sullo sfondo resta un contesto che le imprese conoscono bene: rischi commerciali, tensioni geopolitiche, catene di fornitura che cambiano forma. Nelle analisi di Confindustria, il mix dazi statunitensi e dollaro debole viene indicato come un fattore potenzialmente pesante per le vendite negli Usa, con uno scenario di riduzione stimata fino a -16,5% per l’export verso quel mercato (stima riportata in una Congiuntura Flash).

Questo non significa che il colpo sia già “scritto” nei numeri di novembre: vuol dire però che l’export italiano sta viaggiando tra due forze contrarie. Da un lato la capacità di difendere quote su segmenti industriali (intermedi e strumentali), dall’altro la fragilità dei consumi internazionali e l’incertezza regolatoria.

La lettura sui primi 11 mesi: export ancora positivo, ma il saldo si assottiglia

Guardando al periodo gennaio-novembre 2025, Istat segnala un export extra-Ue ancora in crescita: +2,0% (che diventa +2,5% al netto dell’energia). Ma l’import corre di più: +3,8%. Effetto collaterale: l’avanzo complessivo dei primi undici mesi scende a 47,6 miliardi, contro i 50,6 miliardi dello stesso periodo del 2024.

È qui che il “paradosso” diventa evidente: il saldo di novembre migliora in modo netto, ma sull’arco dell’anno la dinamica è più competitiva e meno comoda, perché l’import cresce più dell’export.

Cosa aspettarsi: tre segnali da tenere d’occhio a inizio 2026

Se l’avanzo è una spia, non è detto che sia un indicatore di salute da solo. Per capire dove sta andando il commercio estero italiano, i prossimi dati saranno decisivi su tre punti.

  • Energia: se il deficit energetico resta contenuto, il saldo può continuare a reggere anche con export debole.
  • Composizione dell’export: il peso di commesse “eccezionali” (come la cantieristica/navale) può alterare i confronti annui. La metrica “al netto” diventa cruciale.
  • Rischi commerciali: dazi, cambio euro/dollaro e domanda Usa possono spostare rapidamente la rotta, soprattutto per i settori più esposti al mercato americano.

La prossima pubblicazione Istat sul commercio extra-Ue è annunciata per 29 gennaio 2026: sarà un primo test per capire se novembre è stato un singolo “salto” del saldo o l’inizio di una fase più lunga 

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