Tre giovani vite spezzate in un’esplosione che poteva essere evitata. Due sorelle gemelle di 26 anni e un ragazzo di appena 18, al suo primo giorno di lavoro, sono morti carbonizzati nell’inferno scoppiato il 18 novembre scorso a Ercolano, in un’abitazione trasformata abusivamente in fabbrica di fuochi d’artificio. Oggi, due uomini di San Giuseppe Vesuviano sono stati arrestati con accuse gravissime: omicidio colposo plurimo, disastro colposo e violazioni sistematiche delle norme sulla sicurezza. Ma dietro il caso emerge un fenomeno ben più ampio e pericoloso: quello delle polveriere illegali diffuse in tutta la Campania, un'economia sommersa che resiste a controlli e tragedie.
Strage annunciata a Ercolano: dentro l’inferno delle fabbriche illegali di fuochi in Campania
In Campania, la tradizione dei fuochi d’artificio convive da anni con un mercato parallelo, fatto di fabbriche abusive, laboratori improvvisati e manodopera sfruttata. Un vero e proprio sistema che si nutre della fragilità economica dei territori, del bisogno di lavorare, e del silenzio di intere comunità. I fuochi vengono prodotti in case isolate, garage, capannoni nascosti nella campagna o tra le palazzine dei quartieri popolari. Nessuna autorizzazione, nessuna formazione, nessun controllo. E quando qualcosa va storto, i risultati sono esplosivi: morti, feriti, case distrutte e famiglie annientate.
La storia simbolo del 18enne morto il primo giorno
Il volto della tragedia di Ercolano è quello del più giovane delle vittime. Aveva 18 anni, ed era appena arrivato sul “posto di lavoro”. Nessun contratto, nessuna spiegazione: solo polveri, micce e una promessa di qualche decina di euro. Non conosceva i rischi, non immaginava che quel primo giorno sarebbe stato anche l’ultimo. Una storia che racconta più di mille dossier sulle condizioni giovanili nel Sud Italia: l’assenza di opportunità, la fame di lavoro, la disperazione che spinge a dire sì anche al pericolo.
L’industria illegale del fuoco: milioni di euro senza regole
Nonostante i controlli delle forze dell’ordine e le operazioni della magistratura, il mercato illegale dei fuochi continua a prosperare. Si stima che il giro d’affari superi i 50 milioni di euro l’anno solo tra Napoli e Caserta. Parte dei prodotti viene venduta in occasione di feste religiose, matrimoni e capodanno, ma sempre più spesso anche ad acquirenti stranieri. In molti casi, la produzione avviene per conto di clan o di reti criminali che usano le fabbriche clandestine anche come copertura per lo stoccaggio di esplosivi destinati ad altri usi.
Controlli inefficaci e territori abbandonati
Il caso di Ercolano è emblematico: l’edificio era già noto alle autorità per attività sospette. Alcune segnalazioni erano arrivate nel corso degli anni, ma nulla è stato fatto per fermare definitivamente quella catena di produzione. Come in molte altre periferie italiane, le responsabilità si perdono tra burocrazia lenta, mancanza di personale e scarico di competenze tra enti. Intanto, il rischio resta quotidiano. I residenti raccontano di “scoppi notturni”, odori strani, furgoni che vanno e vengono. Ma spesso si tace, per paura o per convenienza.
Un dolore che chiede giustizia vera
Le famiglie delle tre vittime non vogliono solo una condanna penale. Chiedono che questa volta la tragedia non venga archiviata come fatalità. “Non erano colpe loro – ha detto il padre delle due ragazze – erano solo andate a lavorare. Non può essere normale morire così”. Un dolore che attraversa tutta la comunità di Ercolano, colpita più volte da eventi simili. L’ultima grande esplosione risale a meno di due anni fa. Anche lì, una fabbrica abusiva. Anche lì, morti e silenzi.
Serve una risposta strutturale, non emergenziale
La vera sfida, ora, è politica e culturale. Non basta un’operazione di polizia o qualche arresto. Serve un piano straordinario per bonificare il territorio, dare alternative ai giovani, riportare legalità dove oggi regna la rassegnazione. Perché ogni volta che una casa esplode, non muoiono solo delle persone. Muore anche un pezzo di società civile, incapace di proteggere i suoi figli dal lavoro che uccide.