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Mps, Mediobanca e Generali: cosa c’è dietro l’inchiesta

- di: Matteo Borrelli
 
Mps, Mediobanca e Generali: cosa c’è dietro l’inchiesta
Una procura che scava, intercettazioni da decifrare, 66 parole chiave per setacciare pc e telefoni, tre big della finanza indagati e il ministero dell’Economia chiamato in causa ma non sotto inchiesta. La vicenda Mps-Mediobanca non è un semplice capitolo del risiko bancario: è il tavolo su cui si gioca anche il futuro di Generali e, di riflesso, una parte degli equilibri finanziari italiani.

Al centro del fascicolo della Procura di Milano ci sono le mosse che, dal 2019 in avanti, avrebbero portato alla progressiva conquista di Piazzetta Cuccia da parte di Monte dei Paschi di Siena, con l’appoggio di poteri finanziari fortissimi e il passaggio decisivo dell’Accelerated bookbuilding (Abb) del novembre 2024. Sullo sfondo, il controllo del “leone di Trieste”.

L’inchiesta su Mps e Mediobanca

I pubblici ministeri milanesi contestano a Francesco Gaetano Caltagirone, a Francesco Milleri (numero uno di un grande gruppo industriale e presidente di una holding di investimento) e a Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps, i reati di aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza nei confronti di Consob, Bce e Ivass. Le società riconducibili a Caltagirone e alla galassia Delfin sono a loro volta indagate ai sensi della disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti.

La tesi della Procura è netta: ci sarebbe stato un “concerto occulto”, un accordo non dichiarato tra i tre, per accumulare in modo coordinato pacchetti azionari e influenza in Mediobanca, con un obiettivo finale ben preciso: pesare di più su Generali, uno dei colossi assicurativi europei.

Gli inquirenti parlano di una strategia in più fasi: rafforzare Mps, assicurarsi l’appoggio di alleati stabili nella compagine di Mediobanca, sfruttare le finestre di mercato (come l’Abb del 2024) per ridisegnare l’azionariato e poi usare la leva della governance attraverso assemblee e operazioni straordinarie.

Per dimostrare questo presunto disegno, il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ha sequestrato e clonato dispositivi elettronici, da cui ora verranno estratti dati usando 66 parole chiave che richiamano nomi, società, operazioni e passaggi ritenuti sensibili. Sarà un lavoro lungo e tecnicamente sofisticato, ma decisivo per capire quanto fosse realmente coordinata la regia delle mosse su Mps e Mediobanca.

Il ruolo del Mef: significativo ma non indagato

In questo quadro si inserisce il capitolo più politico: il ruolo del ministero dell’Economia e delle Finanze. La Procura, attraverso fonti giudiziarie, ha chiarito in modo esplicito che il Mef “non è oggetto di accertamenti” e, soprattutto, che un ministero non è una persona fisica e dunque non può commettere reati penali in quanto tale.

Gli inquirenti riconoscono però che il dicastero guidato dal ministro dell’Economia ha avuto un ruolo “significativo” in uno dei tasselli del presunto concerto: la cessione del 15% di Mps nel novembre 2024, eseguita proprio dal Mef tramite una procedura di Accelerated bookbuilding. In quell’operazione, grandi blocchi di azioni del Monte sono stati collocati rapidamente a un ristretto nucleo di investitori istituzionali e soggetti finanziari di peso.

Secondo quanto emerge dagli atti, la Procura segnala “anomalie e opacità” procedurali in questo ultimo Abb rispetto alle precedenti operazioni analoghe gestite dal ministero. Eppure, sul piano strettamente penalistico, il ragionamento degli inquirenti è puntuale: non essendoci una gara pubblica in senso tecnico, un grande azionista può, in linea di principio, scegliere a chi vendere, senza che questo integri di per sé un reato.

Messaggio chiaro: il Mef avrebbe fornito un sostegno politico-istituzionale generico all’operazione, ma non è considerato parte di un disegno criminoso. Da qui la formula che circola in ambienti giudiziari: il governo “non scala le banche”, non ha interesse diretto a prendere il controllo di Mediobanca e non è al centro degli accertamenti penali.

Il nodo dell’Accelerated bookbuilding del 2024

L’Abb del novembre 2024 è però, agli occhi della Procura, un passaggio cruciale. In quell’operazione, il Mef ha venduto sul mercato il 15% del capitale di Mps, quota che è finita in larga parte nelle mani di Delfin, del gruppo Caltagirone, di Banco Bpm e di un grande gestore del risparmio.

Gli atti evidenziano che le condizioni di vendita, compreso il premio di prezzo riconosciuto rispetto alle quotazioni di Borsa, avrebbero favorito proprio gli investitori oggi considerati parte o “simpatizzanti” del presunto piano per rafforzare Mps e, tramite Mps, influenzare Mediobanca. Sul piano economico, quella cessione ha cambiato il baricentro della base azionaria del Monte: meno Tesoro, più privati forti e tra loro coordinati o comunque allineati su alcune scelte strategiche.

Dal punto di vista delle ipotesi investigative, il dubbio è che il collocamento non sia stato solo un’ordinaria operazione di mercato, ma un tassello studiato per posizionare al posto giusto, nel momento giusto, gli attori destinati a guidare la scalata a Piazzetta Cuccia.

La mossa su Banca Generali e l’assemblea decisiva di agosto

Nel puzzle entra anche la cosiddetta “mossa difensiva” di Mediobanca: l’operazione di scambio su Banca Generali, annunciata nel 2025 e poi sottoposta al voto dell’assemblea straordinaria di Mediobanca il 21 agosto 2025.

Il progetto prevedeva un’ops (offerta pubblica di scambio) su Banca Generali, da pagare in nuove azioni Mediobanca, in cambio del 13% circa di Generali detenuto dalla stessa Mediobanca. In pratica, una mossa per consolidare la posizione su Generali e allontanare la prospettiva che altri soggetti, a partire da Mps e dagli alleati, potessero dettare la linea nella compagnia assicurativa.

L’assemblea di agosto ha però bocciato l’operazione: i voti favorevoli si sono fermati intorno al 35% del capitale, mentre contrari e astenuti hanno raggiunto una quota superiore al 40%. Un esito che i pm considerano un “passaggio rivelatore”: in quella sede, secondo l’ipotesi accusatoria, si sarebbe vista la “chiamata a raccolta” del fronte contrario all’ops, cioè di chi non voleva rafforzare il legame tra Mediobanca e Generali ma preferiva uno scenario in cui Mps, insieme ai grandi soci privati, acquisisse via via più spazio di manovra.

Quella sconfitta in assemblea ha indebolito la linea del management di Mediobanca e ha aperto la strada alla successiva Offerta pubblica di acquisto e scambio (Opas) di Mps su Mediobanca, conclusa nel settembre 2025 con adesioni oltre il 60% del capitale e il passaggio del controllo effettivo di Piazzetta Cuccia nelle mani della banca senese.

Casse di previdenza e intermediari esteri

Un capitolo particolarmente sensibile riguarda le casse di previdenza, in particolare Enasarco e, più in generale, alcuni grandi enti previdenziali di categoria.

Nel decreto di perquisizione si parla di “numerose anomalie formali” negli acquisti di azioni Mediobanca effettuati da queste casse mentre era in corso la scalata. Secondo gli inquirenti, in alcuni casi le operazioni sarebbero state decise senza una delibera formale dei consigli di amministrazione, nonostante si trattasse di investimenti non del tutto coerenti con le policy fissate negli statuti.

In più, una parte di questi acquisti sarebbe transitata attraverso intermediari con sede in Paesi considerati “non collaboranti” con le autorità di vigilanza, con un riferimento esplicito a Malta. Ciò accende i riflettori su un doppio fronte: la tutela dei contributi previdenziali degli iscritti e la possibilità che strumenti pensati per il risparmio previdenziale siano stati usati come leve nel grande risiko bancario.

La Procura non dice che le casse siano parte del presunto “concerto”, ma le colloca in un’area di “simpatizzanti”: soggetti che, con le loro scelte di investimento, avrebbero di fatto rafforzato il fronte favorevole a una nuova configurazione proprietaria di Mediobanca, più allineata agli interessi del blocco Mps-Delfin-Caltagirone.

Lovaglio “facilitatore” esterno e le accuse ai tre indagati

Nell’impianto investigativo, la figura di Luigi Lovaglio è definita come quella di un “facilitatore esterno”: non un regista occulto che muove direttamente i fili del capitale privato, ma un manager che, grazie alla posizione apicale in Mps, avrebbe contribuito causalmente al successo del presunto piano.

Secondo questa lettura, Mps diventa il veicolo operativo di un disegno più ampio, condiviso con Caltagirone e Milleri. Una serie di contatti, riunioni e scambi di informazioni, documentati negli atti, servirebbe a mostrare come le scelte su alleanze, acquisti, opzioni strategiche e tempi delle operazioni non siano il frutto di decisioni spontanee e indipendenti, ma di un coordinamento strutturato nel tempo.

I tre sono accusati di aver influenzato il mercato e la percezione degli investitori su Mps e Mediobanca in modo non trasparente, e di aver ostacolato la piena conoscibilità del quadro da parte delle autorità di vigilanza, omettendo o ritardando comunicazioni dovute o fornendo un’informativa non completa.

Mercato nervoso, conti solidi: la doppia faccia di Mps

L’apertura dello scandalo ha avuto un effetto immediato sui mercati: nelle sedute successive alle prime perquisizioni e alle notizie sugli indagati, il titolo Mps ha perso oltre il 3%, risultando tra i peggiori del principale indice di Piazza Affari.

Questi scossoni arrivano però in un momento in cui la banca senese mostra numeri di bilancio molto robusti. Nei primi nove mesi del 2025, Mps ha registrato ricavi per circa 3 miliardi di euro, con un utile netto operativo nell’ordine di 1,3 miliardi e indicatori patrimoniali solidi anche dopo la conclusione dell’Opas su Mediobanca. Il Cet1 fully loaded, pur in calo rispetto ai picchi precedenti, resta ben sopra le soglie regolamentari, segnale che l’operazione Mediobanca è stata calibrata in modo da non stressare eccessivamente il capitale.

Paradosso apparente: dal punto di vista industriale, la combinazione Mps-Mediobanca sembra rafforzare il gruppo bancario senese, ma dal punto di vista reputazionale l’inchiesta milanese rischia di pesare a lungo, frenando la valorizzazione in Borsa e complicando i rapporti con le autorità europee e il mercato internazionale.

Generali sullo sfondo: perché Trieste conta così tanto

In ogni fase di questa storia riaffiora lo stesso nome: Generali. Per la Procura, la compagnia triestina non è oggetto di indagine, ma è il premio ultimo del risiko. Da anni la governance di Generali è contendibile, e il ruolo di Mediobanca come storico azionista di riferimento è stato messo sotto pressione da nuovi equilibri azionari e dal protagonismo di grandi investitori privati.

Se Mps controlla Mediobanca, e se a fianco del Monte si collocano azionisti di peso come Delfin e il gruppo Caltagirone, il baricentro del potere su Generali si sposta inevitabilmente. Non è un caso che molte delle interlocuzioni ricostruite negli atti investigativi riguardino proprio strategie su Generali: ipotesi di rinnovo del vertice, possibili alleanze con altri soci, valutazione di operazioni straordinarie future.

La partita, quindi, non è solo bancaria: è assicurativa, industriale, politica. E tocca direttamente il risparmio di milioni di italiani che, attraverso polizze vita, fondi pensione e prodotti di investimento, sono esposti ai destini del gruppo triestino.

Cosa succede adesso: scenari giudiziari e regolatori

L’indagine è, per stessa ammissione di chi la conduce, “tutt’altro che conclusa”. I tempi tecnici per analizzare i dispositivi sequestrati e incrociare mail, messaggi, documenti e tracciati delle operazioni di Borsa non saranno brevi. Nel frattempo, il fronte regolatorio resta vigile.

Consob e Bce hanno già ricevuto dalla Procura dettagli sui passaggi più sensibili dell’inchiesta. Potranno valutare se avviare o rafforzare propri procedimenti amministrativi o sanzionatori, indipendentemente dall’esito penale. L’Autorità antitrust italiana, che aveva già autorizzato l’Opas di Mps su Mediobanca, potrebbe essere chiamata a verificare se nuovi elementi cambiano il quadro della concorrenza e del controllo sul mercato.

In parallelo, il fronte politico ha aperto il dossier casse di previdenza: il rischio, evidenziato da più parti, è che enti nati per garantire le pensioni di professionisti e lavoratori autonomi siano stati usati come “cassaforti” al servizio del risiko bancario, con decisioni prese senza piena trasparenza verso gli iscritti.

Perché questa inchiesta è un test per la finanza italiana

L’affaire Mps-Mediobanca è destinato a diventare un banco di prova per vari aspetti del sistema Italia:

  • La qualità della vigilanza, chiamata a dimostrare di saper leggere in tempo reale le mosse dei grandi operatori e di intervenire quando serve;
  • La trasparenza delle operazioni straordinarie, specie quando coinvolgono banche con una storia recente di salvataggi pubblici e controlli europei rafforzati;
  • La tutela del risparmio previdenziale, con la necessità di regole più stringenti sull’utilizzo delle casse come investitori strategici in operazioni di sistema;
  • Il rapporto tra politica e finanza, perché la tentazione di usare gli strumenti pubblici per orientare partite private resta sempre dietro l’angolo.

Il punto fermo, al momento, è uno solo: il Mef non è indagato, ma l’Abb del 2024 e le scelte di allocazione delle azioni Mps hanno prodotto un effetto concreto nella ridistribuzione del potere in Mediobanca. Il resto – il confine tra strategia legittima e concerto illecito – sarà scritto nelle carte dei magistrati e, in ultima istanza, nelle aule di tribunale.

Nel frattempo, Mps e Mediobanca continuano a lavorare al percorso di integrazione industriale, mentre il “leone di Trieste” osserva da vicino. La sensazione, in Piazza Affari, è che la vera partita su Generali sia appena cominciata.

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