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Palenzona al vertice di Fondazione Crt, e si torna a parlare di fusioni...

- di: Redazione
 
Palenzona al vertice di Fondazione Crt, e si torna a parlare di fusioni...
Possiamo, senza volere essere irriguardosi o cinici, dare un consiglio, anzi due, a Giovanni Quaglia, ex presidente della Fondazione Crt, defenestrato appena poche ore fa?
Il primo, diciamo, frivolo è quello di mettere in bella mostra nel suo ufficio (quale che sarà il prossimo incarico che ricoprirà) la scritta - decida lui: su lastra d'oro o di marmo - ''Sic transit gloria mundi'. Perché tutto quello che lui ha fatto di buono da presidente della Fondazione è stato immediatamente dimenticato, cancellato da giochi e giochetti della finanza che ben poco hanno a che spartire con la riconoscenza, con la presa d'atto di un lavoro svolto bene, anzi ottimamente.

Palenzona al vertice di Fondazione Crt, e si torna a parlare di fusioni...

Il secondo consiglio, più sommesso, è che Quaglia deve fare tesoro del fatto che quando ci si va a scontrare con logiche che hanno poco a che spartire con la ragione, è meglio scansarsi, per evitare di farsi del male.
Non, però, come Cincinnato, pronto a tornare in pista per amore di Roma, ma proprio dire: signori miei, me ne vado, libero la scrivania e da domani sono fatti (parola da fascia protetta...) vostri.
Quindi, finita l'era di Giovanni Quaglia, comincia quella di Fabrizio Palenzona, un uomo per tutte le stagione, ce ne n'è uno, il classico profilo del personaggio che sa attraversare epoche politiche diverse, senza venire scalfito da alcuna contestazioni precisa (solo sfiorato, ma uscitone sempre bene), ma lasciando la sensazione che si muova nell'ambito di logiche, che occupi questa o quella poltrona con un chiaro obiettivo, quasi sempre il suo o di chi lo sostiene. E di poltrone Palenzona ne ha occupate tante, al punto che omettiamo di elencare i suoi incarichi per non annoiare.

Il suo cursus honorum, cominciato ''ufficialmente'' agli inizi degli anni '90, è di quelli che fanno capire come Palenzona sia uomo capace di attraversare, col suo fare apparentemente pacioso (legato anche suo fisico, ma l'apparenza spesso inganna) , il fronte di un nubifragio senza essere raggiunto da una sola goccia o di fare break dance su un campo minato galleggiando e senza toccare mai terra.
Cercando di interpretare antropologicamente la sua immagine, si potrebbe tranquillamente affermare che il neopresidente della Fondazione Crt sia stato costruito in laboratorio, come Ivan Drago, ma non per fare a cazzotti sul ring, ma per sedere su poltrone sempre prestigiose, dalle quali amministrare.
Lui, a differenza di altri amministratori che hanno un profilo simile al suo, è sempre andato avanti senza inciampi, in oltre trent'anni di onorata carriera, tra nomine e cooptazioni. Forse qualche invidia, forse qualche recriminazione se le è lasciate dietro.

Ma, pensando che stiamo parlando del territorio che va dalla politica alla finanza, è il minimo.
Certo è che la sua nomina a presidente della Fondazione qualche mugugno l'ha determinato, anche solo per il fatto che, intorno a sé, e forse in modo inatteso, ha coagulato la maggioranza dei consiglieri (10 su 17, una enormità), scoprendo carte che, sino a poche ore prima, aveva tenuto nascoste e che hanno mostrato chiaramente che, sul suo nome, hanno scommesso in molti.
Quando ancora si sentiva l'eco degli applausi per l'avvenuta elezione, Palenzona ha detto, quasi a volersi schermire, a volere ridimensionare la portata di quello che è stato, a tutti gli effetti, un trionfo, che lui dal 1995 lavora in questo settore, dando merito suo predecessore dell'ottimo lavoro fatto (insomma: Quaglia, stai sereno...).
Poi, confermando che spesso la verità è nelle pieghe dei discorsi sui massimi sistemi, s'è lasciato scappare (anche se c'è da credere che non sia stato un inciampo verbale) d'essere ''sceso in campo per senso di responsabilità, perché mi è stato chiesto e anche perché mesi fa ho provato senza successo a mediare un senso di disagio''.
Ma, quali che siano le dinamiche che hanno portato Palenzona a sedere sulla prestigiosissima seggiola di vertice della Fondazione, i suoi progetti per l'immediato futuro, soprattutto in materia di fusioni, sembrano palesi, quasi seguendo pedissequamente il mantra che ''grande è bello''.

Cosa tutta da dimostrare, soprattutto nel settore bancario dove il percorso delle fusioni si è troppo spesso trasformato - oltre al 'massacro' della composizione numerica della forza lavoro - nell'azzeramento di alcuni valori fondamentali del sistema, come la territorialità, la vicinanza anche fisica alla clientela, da considerare con interlocutore e non solo come soggetto da spremere. Fare capire che in testa frulla sempre l'idea di andare ad una comunanza ufficiale di interessi tra Unicredit e Bpm è un biglietto da visita, non una semplice idea.
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