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Giappone in allarme per lo yen: movimenti unilaterali scuotono Tokyo

- di: Matteo Borrelli
 
Giappone in allarme per lo yen: movimenti unilaterali scuotono Tokyo
Giappone in allarme per lo yen: movimenti unilaterali scuotono Tokyo
Lo yen scivola, il governo alza il livello di guardia: tra timori di speculazione, costo delle importazioni e ipotesi di intervento sui cambi.

Nelle ultime settimane lo yen giapponese ha continuato a perdere terreno rispetto al dollaro, con la coppia USD/JPY stabilmente su livelli considerati estremi dagli operatori. A Tokyo il clima è cambiato: il governo parla apertamente di “movimenti unilaterali e rapidi” sul mercato dei cambi, con ripercussioni potenzialmente rilevanti per famiglie, imprese e finanza pubblica.

Il segretario capo di gabinetto, Minoru Kihara, ha sintetizzato la preoccupazione dell’esecutivo sottolineando che, nelle recenti sedute, si sono registrati scambi “a senso unico”, con lo yen che si indebolisce senza rimbalzi significativi. In conferenza stampa ha spiegato che il governo sta seguendo l’andamento del cambio con “maggiore vigilanza”, in particolare di fronte a movimenti ritenuti eccessivi e disordinati.

Preoccupazioni analoghe sono arrivate dalla nuova ministra delle Finanze, Satsuki Katayama, che ha parlato di un contesto in cui gli aspetti negativi di una valuta debole – inflazione importata, erosione dei redditi reali, incertezza per le imprese – rischiano di superare i benefici per le esportazioni. In più occasioni ha definito la volatilità del cambio “una fonte di allarme che non possiamo ignorare”, richiamando il ruolo del governo e della Bank of Japan nel preservare la stabilità.

Perché lo yen è così sotto pressione

Dietro questa fase di debolezza si intrecciano diversi fattori. Da un lato c’è la politica monetaria ancora molto cauta della Bank of Japan, che dopo decenni di tassi a zero o negativi solo di recente ha avviato un lento percorso di normalizzazione. I ritocchi al rialzo sono stati limitati e lo scarto rispetto ai tassi statunitensi ed europei resta ampio: un incentivo potente a finanziare operazioni in yen per poi investire altrove, alimentando il cosiddetto carry trade.

Dall’altro lato pesa l’aspettativa di una nuova stagione di stimolo fiscale. La premier Sanae Takaichi, insediata a inizio ottobre 2025, ha legato il suo mandato alla promessa di sostenere la crescita con piani di spesa ambiziosi, in continuità con la tradizione dei grandi pacchetti anticrisi giapponesi. Il mercato, tuttavia, teme che un’ulteriore espansione del deficit, in un Paese che ha già uno dei debiti pubblici più elevati al mondo, finisca per indebolire ancora la fiducia nella valuta.

A tutto questo si aggiunge la componente più sfuggente ma decisiva: la speculazione. Quando gli investitori percepiscono che una banca centrale è lenta nel reagire, oppure che il governo non è pronto a intervenire in modo deciso, aumentano le scommesse su ulteriori indebolimenti. È il meccanismo che a Tokyo viene descritto come una dinamica “a senso unico”: lo yen scende, nessuno ha interesse a fermare il movimento e la caduta si autoalimenta.

Il lato oscuro dello yen debole

A prima vista un cambio più favorevole può sembrare una buona notizia per il Giappone, grande Paese esportatore di tecnologia, auto e componenti industriali. I conti delle multinazionali che vendono all’estero, infatti, tendono a beneficiare di una valuta meno forte. Ma questa è solo metà della storia.

Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla bolletta delle importazioni. Il Giappone importa gran parte dell’energia e delle materie prime industriali di cui ha bisogno: se lo yen si indebolisce, ogni barile di petrolio, ogni metro cubo di gas e ogni tonnellata di metalli pesano di più sui conti del Paese. Il risultato è un aumento del costo della vita, aggravato da anni in cui i salari reali non hanno mostrato progressi significativi.

Per le famiglie il rischio è di vedere comprimere ulteriormente la propria capacità di spesa; per le imprese che dipendono dall’import di semilavorati e componenti, la pressione si traduce in margini più sottili e in decisioni d’investimento più prudenti. In questo contesto, i segnali di inflazione importata sono seguiti con estrema attenzione dalla Bank of Japan, che finora ha sempre bilanciato l’obiettivo di sostenere la crescita con la necessità di evitare scosse brusche sui prezzi.

Cosa può fare Tokyo: dal richiamo verbale all’intervento sul mercato

Quando il cambio si muove troppo rapidamente, la prima linea di difesa di un governo è spesso quella verbale. Negli ultimi mesi le autorità giapponesi hanno intensificato i richiami, sottolineando di essere pronte ad agire contro movimenti “eccessivi” e “disordinati”. Kihara e Katayama hanno ribadito più volte che il ministero delle Finanze e la Bank of Japan stanno monitorando il mercato con “un forte senso di urgenza”.

La seconda opzione è l’intervento diretto sul mercato dei cambi, attraverso vendite di dollari e acquisti di yen coordinati tra ministero delle Finanze e banca centrale. Il Giappone ha già fatto ricorso a questa arma in passato, soprattutto quando la soglia psicologica di un certo livello di cambio veniva superata in modo brusco. Si tratta però di uno strumento usato con cautela, sia per i costi che comporta, sia perché la sua efficacia è spesso limitata nel tempo se non è accompagnata da un cambiamento più profondo nella politica monetaria.

La terza via, più strutturale, riguarda proprio la strategia della Bank of Japan sui tassi. Un rialzo più deciso, che avvicini il Giappone alle altre grandi economie avanzate, renderebbe lo yen meno penalizzato nei confronti di dollaro ed euro. Ma la transizione da un regime ultra-espansivo a una normalità monetaria comporta rischi per la crescita e per la sostenibilità del debito, e i vertici della BoJ stanno procedendo con estrema gradualità, consapevoli delle possibili ripercussioni sui mercati obbligazionari e sull’economia reale.

Un equilibrio delicato tra crescita e stabilità

Il vero nodo per Tokyo è trovare un punto di equilibrio tra sostegno alla crescita, stabilità finanziaria e credibilità internazionale. Un yen troppo debole, in un contesto di debito elevato e di popolazione che invecchia rapidamente, può essere letto dagli investitori come un segnale di fragilità di lungo periodo. Allo stesso tempo, un irrigidimento troppo rapido della politica monetaria rischia di mettere in difficoltà un sistema produttivo ancora alle prese con i lasciti della pandemia e con la trasformazione tecnologica.

Molti analisti ritengono che la combinazione attuale – tassi ancora bassi, prospettive di spesa pubblica espansiva, dipendenza energetica dall’estero – abbia creato una sorta di “tempesta perfetta” per la valuta giapponese. In questo scenario, ogni dichiarazione del governo e ogni segnale proveniente dalla Bank of Japan vengono scrutati dai mercati alla ricerca di indizi su un possibile cambio di rotta.

Se lo yen dovesse spingersi stabilmente oltre nuovi livelli record di debolezza, la pressione per un’azione più decisa aumenterebbe ulteriormente. A quel punto, un mix di interventi coordinati – messaggi più duri, eventuali operazioni sul mercato dei cambi e una revisione del sentiero dei tassi – potrebbe diventare inevitabile per arginare gli effetti più destabilizzanti della caduta della valuta.

Il bivio di Tokyo

La vicenda dello yen non è solo una questione da addetti ai lavori. È lo specchio di un Paese alle prese con scelte cruciali: come sostenere la crescita in una società che invecchia, come finanziare la transizione energetica e digitale, come difendere il potere d’acquisto dei cittadini in un mondo in cui le tensioni geopolitiche possono cambiare in fretta il quadro dei prezzi.

Tokyo si ritrova così a un bivio: continuare lungo la strada di una politica ultra-accomodante, correndo il rischio di vedere la propria valuta indebolirsi ancora, oppure imboccare una traiettoria di normalizzazione più rapida, accettando una fase di aggiustamento per imprese e mercati. In entrambi i casi, la gestione della comunicazione verso l’esterno sarà decisiva per evitare reazioni scomposte.

Di certo, il messaggio arrivato dal governo nelle ultime settimane è chiaro: la lunga stagione in cui lo yen poteva scendere quasi indisturbato sembra avviarsi alla fine. Se e come avverrà la svolta, lo diranno i prossimi mesi. Ma una cosa è già evidente: la valuta giapponese è diventata, di nuovo, uno dei termometri più sensibili dello stato di salute dell’economia globale. 

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