La Cina scende in campo contro l’aggressività Usa: corteggia le multinazionali, svaluta lo yuan e prepara misure per stabilizzare l’economia. Xi: “Non cederemo mai alle pressioni”.
(Foto: il presidente Xi Jinping con i rappresentanti dell'economia internazionale nel recente incontro a Pechino)
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La Cina ha scelto la via della sfida. Davanti all’ennesima offensiva protezionista lanciata da Donald Trump, che minaccia nuovi dazi fino al 50% se Pechino non farà marcia indietro sulle sue contromosse tariffarie, Xi Jinping ha risposto con una strategia a tenaglia: nessun passo indietro sul piano politico, apertura strategica agli investitori stranieri e difese economiche già schierate.
Nel fine settimana, mentre a Washington si preparava l’ennesimo pacchetto punitivo, il governo cinese ha convocato a Pechino i rappresentanti di oltre venti colossi statunitensi attivi nel Paese, da Tesla a GE Healthcare, fino a Medtronic. Il messaggio è stato netto: Pechino non considera le imprese americane un nemico, anzi le invita a fare squadra contro un approccio ritenuto “distruttivo” per le catene di valore globali. “Vogliamo proteggere con fermezza i diritti e gli interessi legittimi delle imprese, incluse quelle americane”, ha dichiarato il viceministro del Commercio Ling Ji, esortando le multinazionali a “intraprendere azioni pragmatiche per salvaguardare insieme la stabilità economica”.
Dietro le parole, una strategia precisa: sfruttare le pressioni del mondo produttivo per costringere la Casa Bianca a rivedere la linea dura. Il tutto, senza rinunciare al contrattacco. Le tariffe cinesi sul 34% dell’import Usa sono già operative, e l’esecutivo di Xi ha fatto sapere che eventuali inasprimenti da parte americana troveranno una risposta proporzionata. Per Pechino, cedere alle minacce di Trump equivarrebbe a una perdita di prestigio nazionale e a un’ammissione di debolezza, due cose inconcepibili per il Partito comunista.
Nel frattempo, lo yuan ha subito una decisa svalutazione, toccando i minimi da quasi tre mesi oltre la soglia di 7,23 sul dollaro: un segnale che Pechino è pronta a usare la leva valutaria per contenere i contraccolpi sull’export. Anche sul fronte fiscale, le autorità hanno iniziato a lavorare su nuovi stimoli per attutire l’impatto della guerra commerciale. Secondo Goldman Sachs, la crescita cinese potrebbe subire un colpo di almeno 0,7 punti percentuali nel 2025. “Prima dell’escalation sui dazi – si legge in un rapporto della banca – l’economia viaggiava sopra le nostre attese e stavamo valutando una revisione al rialzo. Ora lo scenario si è ribaltato”.
Xi Jinping, tuttavia, non mostra alcun segno di ripiegamento. Da giorni ha moltiplicato gli incontri con i principali consiglieri economici, chiedendo di accelerare la messa a punto di un piano per blindare la seconda economia del mondo. Lo scontro con gli Stati Uniti viene ormai trattato come una battaglia geopolitica di lungo periodo: non solo una risposta a un presidente isolazionista, ma una sfida sistemica a un modello unilaterale che la Cina intende sostituire con un ordine economico multipolare, in cui Pechino si presenta come polo di stabilità.
A confermare questa ambizione è lo stesso slogan rilanciato nel fine settimana dai media cinesi: “La Cina è la nuova terra promessa per gli investitori globali”. Non si tratta solo di retorica. Pechino vuole sfruttare l’occasione storica offerta da una Casa Bianca in rotta di collisione con il mondo per presentarsi come garante del commercio internazionale e punto di riferimento per chi rifiuta il protezionismo aggressivo.
Il messaggio arriva in un momento in cui l’Europa è alla ricerca di nuovi equilibri e inizia a guardare con più interesse verso Est. Ma anche per le aziende americane, strette tra le minacce di Trump e le promesse di stabilità del Dragone, la tentazione di fare pressione su Washington potrebbe diventare irresistibile. E in questa partita, Xi Jinping ha già calato le sue carte.