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Trump gioca coi dazi, Hong Kong chiude il rubinetto: “Basta ricatti”

- di: Marta Giannoni
 
Trump gioca coi dazi, Hong Kong chiude il rubinetto: “Basta ricatti”
Stop alle spedizioni verso gli Usa: “Tariffe abusive, cittadini spremuti”. La città-Stato colpisce l’e-commerce americano e trasforma la rappresaglia in un boomerang per la Casa Bianca.
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Donald Trump affonda la penna sull’ennesimo ordine esecutivo, ma questa volta la risposta non arriva da Pechino: parte da Hong Kong, e colpisce nel vivo. Hong Kong Post ha annunciato lo stop totale alle spedizioni di merci verso gli Stati Uniti. Non si tratta di una misura tecnica, ma di un atto politico: una rappresaglia commerciale che ha il sapore di una rottura sistemica.
“Non riscuoteremo nei modi più assoluti alcun dazio per conto degli Stati Uniti”, si legge nella nota ufficiale diffusa il 16 aprile. Niente pacchi, niente dogane. D’ora in poi, chiunque voglia inviare merce dall’ex colonia britannica agli Usa dovrà arrangiarsi e pagare.
A fare da detonatore, l’ennesimo colpo di Trump al commercio globale: la cancellazione dell’esenzione doganale (de minimis) per i pacchi sotto gli 800 dollari provenienti dalla Cina. Una misura pensata per colpire Alibaba e Temu, che però finisce per danneggiare anche le microimprese, i cittadini e l’intera logistica asiatica.

Hong Kong dice basta
“Gli Stati Uniti sono irragionevoli, intimidiscono e impongono dazi in modo abusivo”, attacca senza giri di parole il comunicato della compagnia postale, in un tono che ricorda più il Global Times che un bollettino doganale. Per la posta ordinaria lo stop è immediato; per la posta aerea scatterà il 27 aprile.
Il provvedimento non tocca i documenti, ma riguarda tutto il resto: dagli accessori moda agli articoli tech, dai cosmetici alle minuterie elettroniche. E colpisce proprio quel flusso continuo e invisibile che tiene in piedi l’e-commerce globale.
“Chi ha già spedito riceverà indietro i pacchi e i soldi”, precisa Hong Kong Post. Ma il messaggio, chiaro e tondo, è: non siamo più disposti a fare da esattori per conto di Washington.

Un boomerang per Trump
Con una mossa sola, Hong Kong colpisce al cuore la strategia protezionista di Trump: quella di far pagare la Cina, ma senza scontentare il consumatore americano.
La realtà è un’altra: l’interruzione del flusso logistico tra Est e Ovest significa prezzi più alti per milioni di utenti statunitensi. E significa problemi per le stesse aziende americane che si affidano al sourcing asiatico per restare competitive.
Non a caso, la mossa ha già fatto rumore tra i venditori online: meno merci, più costi, meno margini. Una spirale che rischia di strangolare proprio il tessuto di piccole imprese che Trump giura di voler difendere.

La Cina prende nota. E colpisce con precisione chirurgica.
La cosa più interessante? Pechino non ha fatto nulla. O meglio, ha lasciato che fosse Hong Kong a parlare — e a reagire. Una strategia che consente al Dragone di non sporcarsi le mani, ma di mandare comunque un messaggio inequivocabile: la Cina ha leve ovunque. Anche dove gli Stati Uniti pensavano di avere ancora amici.
Per anni Washington ha trattato Hong Kong come un caso a parte, garantendole uno status commerciale speciale. Poi è arrivata la stretta cinese sui diritti, la repressione delle proteste, e infine il ritiro da parte americana di quel trattamento privilegiato.
Oggi, quell’isolamento torna indietro come un boomerang. Hong Kong non è più un ponte: è un bastione.

Trump si isola nell’Est Pacifico
L’ordine esecutivo firmato da Trump è solo l’ultimo di una lunga serie di atti unilaterali che stanno disintegrando l’architettura del commercio internazionale. E nel Pacifico, il segnale è chiaro: l’America non è più affidabile.
Tokyo tratta con cautela. Seoul guarda a Pechino. I Paesi ASEAN scelgono il silenzio. In questo contesto, la mossa di Hong Kong assume un valore geopolitico che va oltre la logistica: è un atto di sfida contro il tentativo trumpiano di imporre regole con la forza.

Un avvertimento anche per l’Europa
Il segnale è trasversale: chi gioca col fuoco dei dazi può restare scottato. Per l’Unione europea - alle prese con una tempesta simile, tra ritorsioni americane e minacce sulle auto tedesche - la lezione è chiara: serve una linea autonoma, e serve ora.
La guerra commerciale in corso non è più solo una questione di accise e tariffe. È una questione di dignità, di sovranità, di futuro. E chi pensava che Hong Kong fosse ormai solo un’appendice docile della Cina, dovrà ricredersi.
Questa volta, è da lì che parte lo schiaffo. E fa male.

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