Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, è stato chiaro: “Israele non ha alcuna intenzione di riprendere gli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza in questa fase”. Lo ha dichiarato in un momento di grande tensione, in cui la popolazione civile palestinese versa in condizioni disperate.
Gaza come una fossa comune: Israele blocca gli aiuti, MSF denuncia la catastrofe umanitaria
Secondo Katz, la sospensione dell’assistenza è “uno degli strumenti principali” per esercitare pressione su Hamas, l’organizzazione che governa de facto l’enclave. L’impostazione israeliana prevede che qualsiasi forma di supporto, compreso quello sanitario e alimentare, sia subordinato al cedimento politico e militare dell’organizzazione. Una posizione che sta scatenando proteste a livello internazionale, ma che trova al momento piena applicazione sul campo.
Medici Senza Frontiere: “Una fossa comune per i palestinesi”
La replica più dura arriva da Amande Bazerolle, coordinatrice delle emergenze per Medici Senza Frontiere, che descrive con parole laceranti lo scenario nella Striscia: “Gaza è stata trasformata in una fossa comune per i palestinesi e per coloro che accorrono in loro aiuto”. Il riferimento è a quei medici, operatori umanitari e volontari che continuano a prestare soccorso nonostante i bombardamenti, le carenze di medicinali e l’assenza di vie di fuga sicure. Le immagini che trapelano dal territorio – sempre più rare a causa delle interruzioni nelle comunicazioni – mostrano ospedali al collasso, famiglie accampate tra le macerie e bambini feriti senza accesso alle cure. Secondo MSF, la negazione degli aiuti rappresenta una punizione collettiva, in violazione delle convenzioni internazionali.
Una crisi umanitaria che si aggrava giorno dopo giorno
L’isolamento totale imposto alla Striscia ha conseguenze devastanti. Gli ospedali rimasti aperti operano in condizioni critiche, spesso senza elettricità e con scorte di medicinali ridotte al minimo. Le ambulanze non riescono a raggiungere molti quartieri, dove interi edifici sono crollati sotto le bombe. Le ONG parlano di una crisi umanitaria senza precedenti: la mancanza di acqua potabile, cibo, corrente elettrica e carburante rende la sopravvivenza quotidiana un’impresa. Il blocco degli aiuti impedisce anche l’ingresso di carburanti essenziali per le attività mediche e la desalinizzazione dell’acqua, lasciando oltre due milioni di persone in una condizione di vulnerabilità assoluta. A nulla sembrano servire gli appelli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative internazionali.
Il calcolo strategico e la reazione della comunità internazionale
La scelta israeliana è parte di un piano preciso, che mira a logorare Hamas attraverso l’isolamento completo della popolazione che amministra. Tuttavia, questa linea d’azione rischia di trasformarsi in un boomerang sul piano diplomatico. Alcuni alleati storici di Israele, come la Francia e la Germania, hanno espresso preoccupazione per la sproporzione delle misure adottate. Gli Stati Uniti, pur mantenendo un forte sostegno all’azione israeliana, hanno iniziato a sollevare interrogativi sulla tenuta del quadro umanitario. Washington ha chiesto a più riprese “pause umanitarie”, ma senza ottenere risultati concreti. Sul fronte arabo, invece, cresce la rabbia. La Giordania e l’Egitto hanno richiamato i rispettivi ambasciatori, mentre l’Arabia Saudita ha parlato di “catastrofe provocata”.
Gaza e il rischio di un punto di non ritorno
Il protrarsi del blocco umanitario rischia di spingere la crisi verso un punto irreversibile. La distruzione delle infrastrutture civili e la disperazione della popolazione alimentano un clima di radicalizzazione che può ostacolare ogni tentativo futuro di negoziato. La narrazione della punizione collettiva penetra sempre più profondamente nell’immaginario arabo e musulmano, acuendo fratture già profonde. Se la comunità internazionale non riuscirà a imporre almeno una tregua umanitaria, Gaza rischia di diventare simbolo di una sconfitta morale dell’ordine internazionale.