Sei tifosi, tra le frange più estreme delle curve di Roma e Lazio, sono stati arrestati per gli scontri con la polizia avvenuti nelle ore precedenti il derby. Un appuntamento ad alta tensione che, ancora una volta, ha mostrato come l’ordine pubblico attorno al calcio italiano resti una polveriera difficilmente controllabile. Il bilancio è pesante: decine di contusi tra le forze dell’ordine, mezzi danneggiati, e una città ancora una volta ostaggio dei suoi ultras.
Derby di Roma, notte di scontri e arresti: sei ultrà fermati, lo Stato corre ai ripari
Non si è fatta attendere la risposta del Ministero dell’Interno. Con una nota ufficiale, il Viminale ha annunciato che dalla prossima stagione verrà introdotto il divieto per le gare serali considerate a rischio ordine pubblico. Una decisione drastica che riflette la difficoltà delle autorità nel contenere episodi di violenza sempre più organizzata. “È inaccettabile che lo sport diventi pretesto per agguati, guerriglia urbana e attacchi alle forze dell’ordine”, ha dichiarato un alto dirigente del ministero. La misura scatterà già dalle prossime settimane con il divieto di trasferta per tre partite consecutive ai tifosi di Roma e Lazio, sia in casa che fuori.
Una violenza pianificata, non spontanea
Secondo le ricostruzioni investigative, gli scontri non sono stati il frutto di tensioni casuali, ma il risultato di una pianificazione precisa. Gruppi organizzati si sarebbero dati appuntamento con l’intento di provocare la polizia e impedire l’afflusso ordinato allo stadio. Bombe carta, bastoni, caschi e passamontagna: l’arsenale sequestrato dimostra che si è trattato di un assalto premeditato. La zona di Ponte Milvio è stata teatro degli scontri più violenti, con lancio di oggetti contro gli agenti e l’intervento dei reparti mobili in assetto antisommossa. I sei arrestati sono accusati di resistenza, lesioni e danneggiamento aggravato.
Le curve, il potere e la zona grigia del tifo
Da tempo, le curve della Capitale – tra le più iconiche d’Europa – sono anche tra le più problematiche. Il loro potere va oltre lo stadio: gestiscono i flussi dei biglietti, influenzano le dinamiche delle tifoserie minori e, in molti casi, sfuggono a ogni forma di controllo. L’infiltrazione di elementi legati all’estrema destra è un fatto noto e documentato, come pure i legami opachi tra alcune frange ultrà e ambienti della criminalità locale. Il derby romano è il punto più alto (o più basso) di un confronto che si alimenta di odio reciproco, orgoglio identitario e un senso di impunità coltivato per anni.
Lo stadio come campo di battaglia simbolico
In Italia, il calcio non è mai solo sport. E il derby di Roma non è mai una partita qualsiasi. È un rito collettivo che accende passioni e rivalità viscerali, ma che troppo spesso degenera in una forma di guerra urbana ritualizzata. Lo stadio Olimpico, le vie d’accesso, le stazioni ferroviarie: ogni spazio diventa territorio conteso. I cori non sono più solo sfottò, ma invettive violente, spesso razziste, talvolta inneggianti a ideologie eversive. La partita si gioca novanta minuti, ma il “pre” e il “post” sono diventati l’arena vera dove le frange più radicali tentano di mostrare la propria forza.
Le reazioni delle società: parole di circostanza?
Sia la Roma che la Lazio hanno emesso comunicati di condanna, esprimendo solidarietà alle forze dell’ordine e rinnovando l’impegno a isolare i violenti. Ma in molti si chiedono se le società facciano davvero abbastanza. Da anni si discute della necessità di una presa di posizione netta, di un taglio deciso con i gruppi organizzati che trasformano la tifoseria in uno strumento di potere. Ma la realtà è che in Italia, il rapporto tra club e curve è ancora troppo ambiguo. Un equilibrio instabile, dove il consenso delle frange più accese conta, e non sempre si ha il coraggio di rompere.
Una sfida che riguarda tutto il Paese
La violenza del derby romano non è un caso isolato. È solo l’episodio più eclatante di un fenomeno che attraversa da decenni il calcio italiano, segnando una distanza profonda tra lo sport e la società civile. I provvedimenti del Viminale possono arginare il problema, ma non risolverlo. Servono nuove strategie di prevenzione, una riforma del sistema di sicurezza negli stadi, ma soprattutto un cambio culturale che riporti il tifo dentro i confini della passione sportiva. Fino ad allora, ogni partita sarà un rischio. E ogni stadio, un potenziale campo di battaglia.