Cronache dai Palazzi - E ora tutti sperano di andare a Bruxelles in prima classe

- di: Redazione
 
L'eterogenea composizione delle liste per le elezioni europee - se proprio non vogliamo parlare di come alcuni dei candidati si presentano, tra ''detto/detta'' e soprannomi vari, alcuni vagamente pittoreschi - non deve sorprendere più di tanto. Se è vero che le europee del passato hanno sempre conservato in Italia un ''non so che'' di estemporaneità, venendo considerate un cimitero degli elefanti (dove mandare, a fare una serena vecchiaia politica, chi tanto aveva dato, ma che aveva perso la forza propulsiva), una batteria (nel senso caro agli allevatori di pollame) dove cercare di fare crescere potenziali esponenti dei partiti (sia direttamente come membri dell'Europarlamento o nella sterminata pattuglia di assistenti, collaboratori, semplici portaborse) o un luogo fisico dove spedire qualcuno di cui, per pudore o ritrosia, non si sa bene cosa fare.
Non stiamo tracciando un quadro volutamente deprimente dell'assise europea, ma questa è la verità.

Cronache dai Palazzi - E ora tutti sperano di andare a Bruxelles in prima classe

Almeno per quanto riguarda il nostro Paese che conferma, anche in questo straniante 2024, la scelta di considerare l'essere in Europa qualcosa di non veramente importante, pensando che poi alla fine sono i governi nazionali a dovere decidere (e comunque quello di non importarsene di chi decide cosa è un errore).
Non è una esagerazione, se si guarda alla composizione delle liste, depurate da chi si candida e che, in caso di elezione, sa già che si dimetterà subito dopo la proclamazione, ritenendo che il suo posto sia in Italia e sui banchi del nostro Parlamento.

Per qualcuno (la maggioranza di chi di politica qualcosa la mastica e la capisce) è una semplice operazione matematica: candidare un leader di partito, per aggiungere il suo peso personale in termini di consenso ai voti nelle urne. Per altri (anch'essi in grande numero) solo una presa in giro degli elettori, perché i big che si candidano, che non possono certo uscire dalla scena nazionale, nel caso di elezione mai siederanno sugli scranni dell'Europarlamento.
Noi, più laicamente, pensiamo che sia solo un capitolo dell'imperscrutabile libro della politica nostrana.

Non sapremmo trovare altra definizione, se pensiamo che, insieme ai nomi dei ''grandi'', ce ne sono di assolutamente impensabili, soprattutto per una storia personale che mai avremmo pensato potesse sperare di finire tra i corridoi del massimo consesso elettivo.
Fatto salvo un numero risicatissimo di candidati, gli altri si dividono equamente tra Carneadi (ivi inclusi coloro che, onorando il ruolo e il voto degli elettori, hanno partecipato attivamente alla vita dell'Ue e cercano ora la conferma) e aspiranti europarlamentari, molti dei quali, se vogliono andare a Bruxelles o a Strasburgo, dovranno farlo a spese loro. Poi ci sono le liste nate intorno ad una idea che cercano di raggiungere la soglia dello sbarramento e ottenere un posto.

Ma in tutto questo la politica, quella vera e vissuta, che fine ha fatto?
Prendiamo il caso di Vittorio Sgarbi, sulla cui vita da critico, impareggiabile conferenziere, scrittore e divulgatore tutti devono concordare. Costretto, lo scorso febbraio, a dimettersi da sottosegretario alla Cultura a causa di una indagine dell'Antitrust sulle sue attività extra-governative, ora torna in pista candidandosi con Fratelli d'Italia, lui che, nell'esecutivo guidato da Giorgia Meloni, era considerato in quota forzista. Il fatto che abbia dovuto dimettersi per poi candidarsi (che poi riesca ad essere eletto non dipende solo da lui e dalla sua notorietà) qualche perplessità la genera.

Come non si può non pensare con sconcerto al profilo di qualche candidato, che, ma è solo un esempio (la campagna elettorale deve ancora cominciare), si mostra all'elettore, chiedendo il voto e impugnando un fucile, in onore all'attività di famiglia. Nessun appunto sulla sua storia, ma forse, in questo momento in cui, se c'è un attimo di silenzio, si sente il rimbombo delle cannonate, tra Ucraina e Medio Oriente, era forse una immagine da accantonare.
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