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Campari, Garavoglia riprende le azioni: pace col Fisco, non col pm

- di: Jole Rosati
 
Campari, Garavoglia riprende le azioni: pace col Fisco, non col pm
Campari, Garavoglia riprende le azioni: pace col Fisco, non col pm

La cassaforte lussemburghese della famiglia torna a maneggiare l’intero pacchetto dopo il dissequestro: la disputa tributaria si chiude con un maxi-accordo, ma l’inchiesta penale continua a fare rumore. 

Che cosa è successo, in una riga (anzi due)

Lagfin, la holding di famiglia legata a Luca e Alessandra Garavoglia, ha annunciato di aver ottenuto il dissequestro di tutte le 214.079.997 azioni Campari finite sotto vincolo nell’autunno 2025. Il via libera arriva dopo la definizione con l’Agenzia delle Entrate del contenzioso sull’exit tax, con un esborso complessivo di 405 milioni di euro spalmato su più anni.

Il dissequestro: perché è una svolta (anche se non è un “fine partita”)

Il sequestro aveva un peso doppio: economico e simbolico. Economico, perché le azioni bloccate venivano valutate nell’ordine di circa 1,3 miliardi di euro al momento del provvedimento; simbolico, perché toccavano il nervo scoperto del gruppo, cioè la stabilità dell’azionariato di controllo e la percezione di rischio da parte del mercato.

Con il dissequestro, Lagfin torna a disporre dell’intero “tesoretto” azionario: un dettaglio che, per un gruppo quotato, vale quanto un comunicato di rassicurazione. Non significa, però, che l’intera storia sia archiviata: tributario e penale non viaggiano sempre sullo stesso binario.

Il cuore della disputa: l’exit tax e la plusvalenza contestata

Il contenzioso tributario ruota attorno all’exit tax, il meccanismo con cui un Paese tassa determinate plusvalenze latenti quando un soggetto sposta la propria “residenza fiscale” o riorganizza asset e partecipazioni in un altro ordinamento. Nel caso Campari, gli inquirenti e gli accertamenti fiscali hanno guardato a una riorganizzazione che coinvolge Lagfin e la controllata italiana Alicros, con una presunta plusvalenza nell’ordine di 5,3 miliardi di euro su cui sarebbe maturata l’imposta contestata.

In concreto, la vicenda è diventata esplosiva quando il sequestro ha fotografato l’ipotesi: mancato pagamento di imposte (o pagamento ritenuto insufficiente) a seguito dell’operazione societaria. Da lì, il conto potenziale – e la conseguente misura cautelare – hanno iniziato a far tremare le sale operative.

L’accordo da 405 milioni: tempi, rate e logica dell’intesa

L’intesa con l’Agenzia delle Entrate prevede un pagamento totale di 405 milioni di euro in un arco pluriennale. La prima tranche è fissata a 152 milioni entro il 31 dicembre 2025; il resto è distribuito in rate trimestrali a partire da giugno 2027 fino al 30 settembre 2029.

Sul piano strategico, la scelta di chiudere con un accordo – pur rivendicando la correttezza del proprio operato – viene letta (anche dagli analisti) come un modo per ridurre l’incertezza e soprattutto allontanare l’ombra più temuta dai soci: la necessità di vendere azioni sul mercato per far fronte a una richiesta fiscale più pesante.

Il fronte penale: l’inchiesta non si spegne

Qui arriva la parte “spigolosa”: mentre la partita con il Fisco trova una cornice definita, l’inchiesta penale resta aperta presso la Procura di Monza, con ipotesi di reato che includono la dichiarazione fraudolenta. Tra i nomi citati nelle ricostruzioni giornalistiche figurano Luca Garavoglia, un manager del gruppo e la stessa holding Lagfin.

In questo scenario compare un termine che torna spesso in casi analoghi: patteggiamento. Non è una “scorciatoia” automatica, né un esito scontato: è una possibile scelta difensiva che dipende da molte variabili (stato delle prove, tempi del procedimento, costi reputazionali, valutazioni del giudice). Il punto chiave è che l’accordo tributario non equivale di per sé a un colpo di spugna penale.

Governance: perché Lagfin conta più dei numeri (e dei brindisi)

Lagfin non è “solo” un azionista forte: è il perno della governance. In base alle ricostruzioni circolate in questi giorni, la holding esprime circa il 51% delle azioni ordinarie e, grazie a strutture di voto rafforzato, può arrivare a una quota di diritti di voto nettamente superiore rispetto alle azioni possedute.

Campari, infatti, utilizza un sistema di azioni a voto speciale legate a meccanismi di loyalty voting: in sostanza, chi resta investito per un periodo lungo può ottenere un peso di voto maggiore. È un modo per “premiare” la stabilità e proteggere la regia industriale, ma rende ancora più delicata qualunque incertezza che coinvolga il soggetto che controlla la leva del voto.

Effetto sul mercato: meno rischio “forzato”, più attenzione al dossier giudiziario

La lettura di mercato, in casi del genere, è spesso binaria: meno probabilità di vendite obbligate e meno volatilità legata a scenari estremi, ma attenzione alta su eventuali sviluppi giudiziari. Il dissequestro e l’accordo fiscale tendono a comprimere la “coda” degli scenari peggiori; l’inchiesta penale, però, mantiene vivo il tema reputazionale e l’incertezza sulle tempistiche.

Tradotto: la vicenda si sposta dalla domanda “quanto potrebbe costare?” alla domanda “come finisce in tribunale, e quando?”.

Che cosa osservare adesso

  • Calendario dei pagamenti: la prima tranche entro fine 2025 e la scansione 2027–2029 diranno quanto l’accordo pesa sulla liquidità della holding.
  • Mosse della Procura: richieste, eventuali rinvii a giudizio, oppure scelte alternative come un possibile patteggiamento.
  • Comunicazione societaria: ogni chiarimento su governance e struttura dei diritti di voto è materiale sensibile per investitori e proxy advisor.
  • Reazione del titolo: la volatilità “da notizia” può riaccendersi su qualunque aggiornamento giudiziario. 
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