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Riforma 4+2: come cambia scuola, ITS e lavoro in Italia

- di: Vittorio Massi
 
Riforma 4+2: come cambia scuola, ITS e lavoro in Italia
Riforma 4+2: come cambia scuola, ITS e lavoro in Italia
Quattro anni di scuola tecnica/professionale + due di specializzazione: ecco il nuovo percorso obbligatorio che unisce scuola, ITS e imprese.

(Foto: Giuseppe Valditara, ministro Istruzione).

Da qualche mese tre caratteri, “4+2”, sono entrati stabilmente nel lessico della scuola italiana. Dietro quella formula c’è un progetto che ridisegna la filiera tecnologico-professionale, accorciando il percorso in aula e rafforzando il legame con il lavoro. Qui spieghiamo in modo netto e senza giri di parole che cos’è il 4+2, come funziona, perché è stato introdotto, quali opportunità apre e quali criticità comporta.

Che cos’è il 4+2

Il modello indica quattro anni di istituto tecnico o professionale seguiti da due anni negli ITS Academy. I primi quattro anni portano al diploma; il biennio successivo consente una specializzazione fortemente pratica e orientata alle competenze richieste dalle imprese.

Il cuore della riforma è la continuità verticale: scuola superiore, ITS e aziende non sono più mondi separati ma parti di un unico percorso. “Ogni scuola dovrà proporre almeno un corso, organizzato in collaborazione con ITS e imprese”, è la linea annunciata dal Ministero: l’obiettivo è rendere il 4+2 offerta ordinaria, non più una semplice sperimentazione.

Cosa può fare lo studente dopo i quattro anni

Al termine del quadriennio lo studente ottiene un diploma con valore legale. Da lì può: proseguire nel biennio ITS per la specializzazione; entrare nel mercato del lavoro; oppure, laddove l’ordinamento lo preveda, iscriversi all’università. Il 4+2 non obbliga a una sola strada, ma aumenta le opzioni.

Perché nasce: obiettivi dichiarati

La riforma punta a tre risultati: ridurre la dispersione scolastica, allineare i curricula ai fabbisogni produttivi e accelerare l’ingresso qualificato nel lavoro. La promessa è un percorso più snello ma rigoroso, con più pratica laboratoriale e corresponsabilità delle imprese nella formazione.

Come diventa obbligatorio

L’impostazione è semplice: ogni scuola è chiamata a presentare almeno un progetto 4+2 costruito insieme a un ITS e a partner aziendali. L’approvazione ministeriale dipende dalla qualità del progetto: coerenza didattica, laboratori adeguati, tutoraggio, collegamenti reali con il territorio. In altre parole, non basta il marchio: contano standard e risultati.

Risorse e infrastrutture

La filiera tecnologico-professionale si accompagna a finanziamenti dedicati per campus e laboratori. L’idea è chiara: senza attrezzature, nessuna didattica pratica decente. La tenuta della riforma dipenderà dalla capacità di stendere reti territoriali solide tra istituti, ITS e imprese.

Le opportunità

  • Competenze spendibili in tempi certi: due anni di ITS “sul campo” per colmare il divario tra scuola e azienda.
  • Orientamento proattivo: tutor e percorsi costruiti sulle attitudini dello studente, non solo sulle materie.
  • Più occupabilità per i profili tecnici, oggi fra i più richiesti in molti distretti.

I nodi critici

  • Qualità a macchia di leopardo: non tutti i territori dispongono delle stesse infrastrutture o della stessa rete di imprese.
  • Formazione dei docenti: servono aggiornamento continuo, didattica laboratoriale e figure ponte con le aziende.
  • Accettazione culturale: il percorso tecnico-professionale va riconosciuto come via di eccellenza, non di “serie B”.
  • Programmi compressi: il passaggio da cinque a quattro anni impone di tutelare i fondamentali culturali (linguaggi, matematica, cittadinanza).

Cosa guardare nei prossimi mesi

Tre indicatori diranno se il 4+2 mantiene le promesse: dispersione in calo, esiti occupazionali dei diplomati ITS, soddisfazione di studenti, famiglie e imprese. Sullo sfondo, due variabili: la possibile integrazione universitaria del biennio ITS e la stabilità dei finanziamenti a regime.

Il punto

Il 4+2 è una scommessa: meno anni di aula, più pratica, più responsabilità alle imprese. Se la qualità sarà reale e diffusa, potrà allargare le opportunità ai giovani. Se invece prevarrà l’etichetta sulla sostanza, il rischio è una riforma diseguale e quindi ingiusta. La differenza, come sempre, la faranno progetti seri, governance chiara e valutazione trasparente. 

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