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Moonmilk trovato a Tarquinia: vita nascosta in tombe etrusche dipinte

- di: Bruno Coletta
 
Moonmilk trovato a Tarquinia: vita nascosta in tombe etrusche dipinte
Moonmilk a Tarquinia: vita nascosta nelle tombe etrusche

Una patina bianca non è solo decoro: rivela microrganismi antichi, protezione dei dipinti e piste per astrobiologia.

Le tombe affrescate della necropoli di Monterozzi a Tarquinia celano più di quanto sembra: un deposito minerale finora poco indagato, chiamato moonmilk, non è mera polvere bianca. La sua origine è microbica, la sua storia geologica è profondissima, e ciò che rivela ha conseguenze su conservazione, archeologia e persino astrobiologia.

Che cos’è il moonmilk

Il moonmilk è un deposito minerale secondario composto da fibre e nanofibre di calcite (carbonato di calcio), visibile come patina bianca sulle pareti o soffitti di grotte, ambienti ipogei o, come nel caso di Tarquinia, tombe etrusche. Nelle camere sotterranee si presenta talvolta soffice quando umido e più polveroso a secco, formando rivestimenti continui che seguono le micro-irregolarità della roccia.

Dove si trova e quali rocce lo ospitano

Le evidenze provengono dalla necropoli di Monterozzi, sito riconosciuto come patrimonio UNESCO. Qui gli ipogei sono scavati in due litologie: una calcarenite ricchissima di calcio, nota localmente come “macco”, e una arenaria ibrida con contenuto calcico più basso. Elevata porosità e buon contenuto di calcio rendono queste rocce ambienti ideali per lo sviluppo e la precipitazione del moonmilk.

Come si forma: il ruolo dei microbi

L’aspetto più innovativo è che il moonmilk si forma non solo sulla superficie, ma anche all’interno della roccia stessa, in pori e microfratture, grazie all’azione di comunità microbiche endolitiche. Questi microrganismi, inclusi taxa capaci di attività ureasica, favoriscono l’innalzamento del pH e la precipitazione del carbonato di calcio sotto forma di nanofibre. Al microscopio elettronico, le fibre mineralizzate appaiono spesso associate a matrici organiche o a cellule “sepolte” nel reticolo di calcite.

Ambienti stabili e poco illuminati, umidità elevata e temperature quasi costanti tipiche degli ipogei etruschi sostengono la colonizzazione microbica e la crescita dei depositi. La roccia non è un semplice supporto: il suo micro-ambiente chimico e fisico seleziona le comunità che, a loro volta, modificano progressivamente la roccia con i loro prodotti minerali.

Implicazioni per la conservazione

Per i restauratori la scoperta è una svolta: non tutti i rivestimenti bianchi sono “nemici”. In diversi casi, il moonmilk si comporta come pellicola protettiva: sotto la patina, gli strati pittorici risultano meglio preservati. Questo impone valutazioni più caute negli interventi: rimuovere la patina senza un’analisi accurata potrebbe esporre i dipinti a rischi di degrado maggiore.

Una biosignatura con sguardo alle stelle

Il moonmilk di calcite che mostra una chiara impronta biologica, specie quando si forma entro la roccia, rappresenta una biosignatura convincente. Modelli simili guidano la ricerca di tracce di vita in ambienti estremi sulla Terra e oltre: Mars-like e tubi lavici sono scenari in cui bio-minerali fibrosi potrebbero costituire indizi preziosi per l’astrobiologia.

Cosa non è (ancora)

  • Non ogni “patina bianca” negli ipogei è moonmilk: servono analisi diagnostiche dedicate.
  • La replica laboratoriale delle esatte condizioni che generano moonmilk interno alla roccia è complessa e non sempre riproduce il quadro naturale.
  • L’estensione areale del fenomeno varia: la presenza e l’abbondanza dipendono da fattori micro-ambientali locali. 
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