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La donna del Mandrione, anatomia di una solitudine dimenticata

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La donna del Mandrione, anatomia di una solitudine dimenticata

Roma, zona Casilina, via del Mandrione. Una strada stretta, un edificio dismesso, un odore insopportabile che filtra sotto una porta chiusa da giorni. Così si scopre la morte. Una donna – ancora senza nome – trovata sola, abbandonata, già decomposta. Nessuna scena del crimine da serial televisivo, nessun giallo che cattura l'attenzione di opinionisti e cronache d’assalto. Solo il silenzio, il vuoto, l’indifferenza. Un corpo che parla di una solitudine che non scandalizza più nessuno. Eppure è proprio da quel corpo che dovrebbe partire una riflessione sulla città, sull'idea stessa di convivenza, sul nostro rapporto con l'altro.

La donna del Mandrione, anatomia di una solitudine dimenticata

Via del Mandrione non è più solo un toponimo che evoca Pasolini, i treni e i bordi della città. È l’emblema di una Roma tagliata fuori dalla narrazione ottimista del cambiamento, della cultura come traino, del turismo come riscatto. È la Roma che resta ai margini, dove il degrado non è spettacolo ma quotidianità. Dove le baracche e i locali murati si alternano alle impalcature eterne, dove la miseria non grida, ma consuma lentamente. Non sappiamo chi fosse quella donna. Ma la sua morte solitaria – senza grido né testimoni – è il sintomo di una malattia urbana più profonda: quella dell’assuefazione al dolore degli invisibili.

Una società anestetizzata dalla retorica della sicurezza

Le reazioni non mancano. Polizia al lavoro, immagini delle videocamere, ipotesi investigative. Ma il vero nodo non è penale. È culturale, sociale, antropologico. Non è un delitto, ma un naufragio umano. Eppure si torna a parlare di degrado, come se bastasse invocare più pattuglie per arginare la disgregazione sociale. Una società che pretende sicurezza solo come presenza armata sul territorio, e non come responsabilità collettiva, è una società destinata a rimuovere la sofferenza fino a quando non puzza. Letteralmente.

Il paradosso delle città intelligenti

Nel tempo in cui si riempiono le bocche con l’espressione “smart city”, in cui si progettano algoritmi per mappare le emozioni urbane, dove finiscono i corpi reali? La donna del Mandrione è l’opposto della città intelligente: è la città che dimentica, che espelle, che cancella. È l’esito finale di una narrazione pubblica che seleziona chi merita attenzione e chi può essere lasciato lì, a scomparire lentamente, senza che nessuno noti l’assenza. È la periferia esistenziale prima che geografica, il luogo dove l’umanità non fa notizia.

Un nome che non c’è, una storia che ci riguarda

Il nome non lo sappiamo. Ma quella donna parla di noi, del nostro grado di civiltà, della tenuta del nostro patto sociale. Non è colpa di nessuno, certo. Ma è responsabilità di tutti. Della politica che taglia l’assistenza, dell’informazione che rincorre solo l’eccezionale, della cittadinanza che ha smesso di guardare chi ha accanto. La vera domanda non è chi fosse quella donna. Ma dove eravamo tutti noi mentre lei moriva sola, e restava lì, a scomparire piano.

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