Mario Roggero, il gioielliere che, a Grizane Cavour, nel 2021, uccise a colpi di pistola due rapinatori che avevano appena depredato il suo negozio, ferendone un terzo, è stato condannato a 17 anni di reclusione dalla corte d'assise di Asti. Una condanna che, seguendo la solita tragica partitura, è stata immediatamente preda dei politici che, in gran parte, l'hanno usata per portare acqua al loro mulino. Come hanno fatto soprattutto i leghisti che, forti del mantra salviniano che ogni difesa è legittima, hanno elevato il gioielliere a icona della giustizia ad ogni costo, anche contro l'evidenza dei fatti, che raccontano una versione nettamente discordante rispetto a quella portata avanti da Roggero e da suoi avvocati. Lo stesso Matteo Salvini, quando ancora l'inchiostro con cui è stato vergato il verdetto non si era asciugato, ha postato un messaggio molto duro, e non solo nei confronti dei giudici della corte d'assise, ma genericamente contro il modo con cui viene amministrata la giustizia nel nostro Paese.
La legittima difesa non è licenza d'uccidere, ma la politica lo vuole ignorare
Ma se ciascuno può esprimere, come ha fatto Salvini, ''piena solidarietà a un uomo di 68 anni che, dopo una vita di impegno e sacrifici, ha difeso la propria vita e il proprio lavoro'', forse un ministro della Repubblica dovrebbe essere più attento alle parole quando chiude il suo messaggio affermando che ''a meritare il carcere dovrebbero essere altri, veri delinquenti, non persone come Mario''.
Perché in questo modo non solo contesta la sentenza (cosa da cui un politico che ha incarichi di governo dovrebbe astenersi), ma fa capire che la magistratura, dolosamente, acconsente che siano liberi i ''veri delinquenti''.
Ma, lasciando a tutti il diritto di parlare, vorremmo solo dire che la sentenza, contestata anche da altri esponenti dei partiti della maggioranza, ha una forte motivazione, in fatto e in diritto, che solo chi la vuole strumentalizzare non comprende. Perché a Roggero non è stato contestato il fatto di essersi difeso durante la rapina, nella quale erano state coinvolte persone a lui care, ma quanto è accaduto dopo, quando l'evento era già finito, inseguendo i banditi e uccidendoli anche quando la minaccia di cui erano portatori si era fisiologicamente conclusa (erano in fuga).
Per chi avesse dubbi, basta guardare il filmato della videosorveglianza in cui si vedono i tre banditi uscire dalla gioielleria e, dietro di loro, Roggero inseguirli sparando contro di loro quasi a bruciapelo e accanendosi contro uno, ferito a morte, colpendolo a calci in testa e cercando di esplodere ancora dei colpi, ma l'arma era già scarica.
Scomponendo le immagini del filmato resta difficile da sostenere che si è trattato di legittima difesa, e non solo perché i banditi erano già in fuga, ma per il fatto che Roggero ha sparato anche quando erano dentro l'auto o alle spalle.
Le sequenze di questa tragedia - che resta tale, per tutti i suoi protagonisti - raccontano un clima di esasperazione, come quella di chi lavora e vede violentata la sua quotidianità da chi viola la legge, quella scritta e quella morale. Mario Roggero è umanamente comprensibile, per il modo con cui ha reagito ai rapinatori, ma non lo è più perché ha voluto farsi giustizia da solo, sapendo che quella pistola con cui ha sparato contro i banditi non poteva essere usata al di fuori della gioielleria. E poi non si è fermato, non è riuscito a fermarsi, sotto la spinta a mille dell'adrenalina, anche quando i rapinatori stavano cercando di fuggire, anche quando uno di loro gli mostrava le spalle, anche quando si è accanito su un bandito a terra, ormai in punto di morte.
Le regole della civile convivenza debbono essere rispettare, non solo da chi pensa che delinquere sia normale, ma a anche dalle vittime che, come nel caso di Roggero, hanno superato un confine, cadendo loro dalla parte dei colpevoli. Capiamo benissimo le motivazioni del gesto del gioielliere, ma negare che abbia ecceduto sarebbe negare anche la giustizia, che vale per tutti, anche per chi la ignora quotidianamente.