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Flotilla, le accuse di Ada Colau e degli attivisti spagnoli

- di: Jole Rosati
 
Flotilla, le accuse di Ada Colau e degli attivisti spagnoli
Flotilla Global Sumud, le accuse di Ada Colau e degli attivisti spagnoli
“Ci hanno colpiti e umiliati”: l’ex sindaca di Barcellona e 21 attivisti tornano in Spagna dopo giorni di detenzione in Israele. “È stata tortura, ma la nostra azione non si ferma”.
 
(Foto: una manifestazione contro gli arresti degli attivisti della Flotilla).

Ci hanno colpiti, ci hanno trascinato a terra, ci hanno legato mani e piedi, ci hanno messo in gabbia e insultati. Ci hanno negato il sonno e l’acqua”. È la testimonianza sconvolgente di uno dei ventuno attivisti spagnoli della Global Sumud Flotilla rientrati in patria dopo essere stati arrestati e detenuti in Israele. Con loro anche Ada Colau, ex sindaca di Barcellona e simbolo della sinistra municipale europea, che ha denunciato un “trattamento disumano in violazione di ogni diritto”.

L’accoglienza all’aeroporto El Prat di Barcellona è stata carica di emozione e rabbia: centinaia di persone hanno sventolato bandiere palestinesi gridando “Libertà per Gaza” e “Giustizia per la Flotilla”. Colau, visibilmente provata, ha ringraziato i sostenitori ma ha subito puntato il dito contro Israele: “Ci hanno arrestati in acque internazionali, sequestrato le imbarcazioni e rinchiusi in un carcere dove non esiste Stato di diritto. Siamo stati maltrattati e umiliati”.

La Flotilla e la rotta verso Gaza

La Global Sumud Flotilla era salpata con l’obiettivo di rompere simbolicamente il blocco navale su Gaza e consegnare aiuti umanitari. A bordo, circa 500 persone provenienti da oltre 40 Paesi, tra cui politici, medici, attivisti e pacifisti. La spedizione, partita il 27 settembre dal Mediterraneo centrale, era diventata un simbolo internazionale di disobbedienza civile contro l’assedio israeliano.

Il 1° ottobre, quando le imbarcazioni si trovavano a circa 70 miglia da Gaza, sono state intercettate dalle forze navali israeliane. “Non avevano diritto di farlo, eravamo in acque internazionali”, ha raccontato Colau. “Ci hanno fermati con armi spianate, droni, elicotteri e gommoni d’assalto. È stata una violazione gravissima del diritto internazionale”.

Sette ore ammanettati e giorni senza acqua

Secondo le testimonianze raccolte, gli attivisti sarebbero stati ammanettati per sette ore al porto di Ashdod, costretti a rimanere in ginocchio con la testa contro il suolo. “Ci hanno tenuti in fila come prigionieri di guerra, senza bere né mangiare”, ha raccontato un giovane attivista. “In cella eravamo sedici in uno spazio di sei metri per tre. Non ci hanno fatto fare la doccia, né uscire all’aperto”.

Altri hanno denunciato di essere stati minacciati con le armi puntate alla testa e al petto. “Entravano armati nel modulo maschile, ci gridavano contro e puntavano i fucili alle parti vitali. Ho davvero pensato che ci avrebbero uccisi”, ha spiegato uno di loro in diretta su X. A tutti sarebbe stato servito “cibo scaduto” e negato l’accesso all’acqua potabile per quasi due giorni. “Siamo rimasti 48 ore senza mangiare”, hanno dichiarato. “È tortura”.

Le condizioni sanitarie sarebbero state disastrose: “Non hanno dato medicine salvavita a chi soffriva di diabete o asma”, ha aggiunto Colau. “Eravamo totalmente isolati, senza contatti con le nostre famiglie o con i consolati”.

“Non ci fermeremo: la nostra azione continua”

Nonostante l’esperienza drammatica, Colau ha voluto sottolineare il senso politico e umano della missione. “Le vessazioni che abbiamo subito non sono nulla rispetto a ciò che vive ogni giorno il popolo palestinese”, ha detto. “L’importante è fermare il genocidio e aprire corridoi umanitari. Continueremo finché tutti i nostri compagni non saranno liberi”.

Secondo gli attivisti, oltre 200 membri della Flotilla sono ancora detenuti in Israele, “più della metà in sciopero della fame”. Da Madrid a Siviglia, da Bilbao a Valencia, sono già iniziate mobilitazioni per chiedere la loro liberazione e per denunciare quella che gli organizzatori definiscono “una repressione sproporzionata e illegittima”.

Proteste in Spagna e indignazione europea

Le piazze spagnole si sono riempite. A Barcellona oltre 70.000 persone hanno manifestato in solidarietà con la Flotilla e contro i bombardamenti su Gaza. Le forze dell’ordine hanno registrato scontri e otto arresti. In tutta Europa si moltiplicano gli appelli alla calma ma anche le condanne per l’azione israeliana. Alcuni governi hanno chiesto spiegazioni ufficiali e il rilascio immediato dei detenuti.

Il governo spagnolo ha convocato l’ambasciatore israeliano a Madrid, chiedendo “chiarimenti urgenti sulle condizioni di detenzione e sul rispetto del diritto internazionale”. Colau ha confermato che un team legale europeo sta preparando una denuncia per “detenzione illegale, violenza e violazione del diritto marittimo”.

Israele respinge le accuse

Da parte israeliana, le autorità hanno smentito ogni abuso, sostenendo che le navi della Flotilla rappresentavano “una minaccia alla sicurezza” e che le operazioni si sono svolte “in conformità con il diritto internazionale”. Ma la versione ufficiale non convince le organizzazioni per i diritti umani, che parlano di “atto di pirateria in acque internazionali”.

Intanto, l’attenzione mediatica cresce e il caso si trasforma in una questione diplomatica tra Israele e l’Unione Europea. Alcuni eurodeputati hanno chiesto un’indagine indipendente e la sospensione degli accordi bilaterali con Tel Aviv finché non saranno chiarite le responsabilità.

Un simbolo che divide il mondo

La Global Sumud Flotilla è ormai più di un evento: è diventata un simbolo. Per i suoi sostenitori, rappresenta la resistenza civile e la solidarietà internazionale con Gaza. Per Israele, un atto di provocazione organizzato da forze politiche ostili. In mezzo, resta una domanda: fino a che punto la lotta per i diritti umani può spingersi contro il potere militare di uno Stato?

La pressione sociale funziona”, ha ribadito Colau all’arrivo. “Le mobilitazioni delle ultime settimane stanno cambiando il paradigma e isolando sempre di più lo Stato israeliano”. Poi ha concluso con un appello: “Fino a quando non saremo tutti liberi, chiediamo a tutti di mobilitarsi”.

Un messaggio che risuona forte in un’Europa sempre più divisa sul conflitto in Medio Oriente. E che riporta al centro una verità che nessuna cella può soffocare: la libertà, anche quando viene ammanettata, trova sempre il modo di parlare.

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