500 anni senza Perugino: “Il meglio maestro d’Italia” si racconta in una mostra

- di: Samantha De Martin
 
In una lettera datata 7 novembre 1500, il banchiere e mecenate Agostino Chigi lo eleggeva a miglior “maestro d’Italia”.
C’è un motivo se Pietro di Cristoforo Vannucci, meglio noto come Pietro Perugino, brillò nel suo secolo e oltre, nonostante il suo nome sia rimasto a lungo all’ombra del suo migliore allievo, Raffaello, oscurato dalle critiche mosse dal Vasari che lo relegò al rango di artista provinciale.
Nonostante lo storiografo ci restituisca un’immagine del pittore talvolta non veritiera e in parte caratterizzata da una lieve sfumatura critica, Perugino viene ancora oggi ricordato come uno dei più raffinati interpreti della cultura umbra diffusa nel mondo.

A 500 anni dalla morte di Pietro Vannucci una mostra celebra il più importante pittore attivo negli ultimi due decenni del Quattrocento.
Nell’anno dedicato al “divin pittore” non poteva essere che Perugia la sede privilegiata dell’incontro tra il pubblico moderno e il raffinato pennello di Città della Pieve, restituendo al protagonista del Rinascimento un posto degno nell’olimpo dell’arte.
Fino al prossimo 11 giugno, il percorso Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo, a cura di Marco Pierini e Veruska Picchiarelli, restituisce all’artista il ruolo che il pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato, presentando i suoi maggiori capolavori, dalle imprese della formazione fino allo Sposalizio della Vergine del 1504, all’apice della sua straordinaria carriera.
L’esposizione di Perugia rappresenta l’evento di punta delle celebrazioni del cinquecentenario, coordinate da un Comitato Nazionale, istituito dal Ministero della Cultura e presieduto da Ilaria Borletti Buitoni, che coinvolge alcuni tra i più importanti musei nazionali e internazionali, dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze al Musée des Beaux-Arts di Caen fino alla National Gallery of Art di Washington, in una vera e propria partnership scientifica.

“L’importante mostra alla Galleria Nazionale – spiega Ilaria Borletti Buitoni – è un punto di partenza unico: la pittura di Perugino è un racconto spirituale ed estetico che riconduce anche al paesaggio umbro, alla sua dolcezza riprodotta con tale precisione di luci e contorni”.
Il riscatto del “divin pittore”
A guidare i curatori è stato un intento ben preciso: individuare soltanto i dipinti del Vannucci antecedenti al 1504, anno nel quale il pittore è impegnato in due commissioni che segnano il punto più alto della sua carriera: la Lotta fra Amore e Castità già a Mantova, ora al Louvre di Parigi, e soprattutto lo Sposalizio della Vergine per la cappella del Santo Anello del Duomo di Perugia, oggi in Francia, al Musée des Beaux-Arts di Caen.
In mostra una settantina di opere restituiscono la grandezza dell’artista, come spiegano Marco Pierini e Veruska Picchiarelli “attraverso gli occhi di chi ebbe la possibilità di ammirare il suo lavoro da una prospettiva privilegiata, senza che lo sguardo risultasse fuorviato dalla produzione di una tarda attività particolarmente prolifica (talvolta persino seriale) e senza soprattutto i condizionamenti dovuti a una fortuna critica a dir poco altalenante”.

Così le prime collaborazioni nella bottega di Andrea del Verrocchio anticipano le imprese fiorentine che fecero la sua fortuna (come dimostrano le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi nelle Gallerie degli Uffizi, o la Pala di San Domenico a Fiesole). Il visitatore incrocia straordinari ritratti e monumentali pale d’altare, soffermandosi ad ammirare il Trittico Galitzin, ora alla National Gallery di Washington, e il Polittico della Certosa di Pavia, per gran parte alla National Gallery di Londra ed eccezionalmente ricomposto per l’occasione.

Perugino e il suo tempo

“La capacità di Perugino di interpretare ed esaltare i valori civili e religiosi ‘del suo tempo’ denso di trasformazioni che non mancarono di riflettersi, fatalmente, anche nelle arti – commenta Marco Pierini – è una delle principali chiavi di un successo e di una fama che raggiunsero i più prestigiosi committenti dell’epoca e i numerosi “colleghi” e seguaci attivi in tutta Italia, gli uni affannati a contendersene i lavori, gli altri intenti a imitarne le armoniose, pacifiche composizioni. Eppure quell’attitudine a rendere canonica la perfezione ideale, così a lungo apprezzata, fu anche la ragione del suo declino, giunto precipitosamente con l’emergere di una nuova generazione capace di conferire forma nuova ai tempi che stavano di nuovo mutando”.
La mostra offre una riflessione sul ruolo che l’artista ha effettivamente svolto nel panorama contemporaneo grazie ai legami intrattenuti con i protagonisti dell’epoca. Il pubblico ha modo di seguire geograficamente gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia. Sorprende, infatti, come Perugino abbia lasciato tracce profonde del suo linguaggio da nord a sud, a cominciare dall’Umbria e dalla Toscana, teatri per eccellenza del suo lavoro, nonché sedi delle sue botteghe di Perugia e Firenze.

Se la straordinaria impresa decorativa della Cappella Sistina getta le basi del filone umbro-laziale del “peruginismo”, che trova illustri interpreti in Antoniazzo Romano, o in Antonio da Viterbo detto il Pastura, l’impressione suscitata dagli affreschi con Storie del Cristo e Storie di Mosè genera fenomeni singolarissimi, come testimonia la pittura di Macrino d’Alba, divulgatore della maniera peruginesca in Piemonte.
Le opere del maestro, da Fano a Senigallia fino a Bologna getteranno invece le basi della pittura di Francesco Francia, Lorenzo Costa e del Rimpatta.
Ma la raffinata dolcezza del pennello di Perugino passa soprattutto attraverso le eleganti Madonne, un modello che ha riscosso nei secoli grande fortuna. Ed ecco in mostra, nella quinta delle sette sezioni del percorso espositivo, Madonna con il Bambino e San Giovannino dalla National Gallery di Londra a confronto con la Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Francesco di Raffaello, dalla Gemäldegalerie di Berlino o con La Vergine e san Giovannino adoranti il Bambino di Lorenzo di Credi, in prestito dalla Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia.
Dal museo al grande schermo
Il 3, 4 e 5 aprile al cinema il fim evento Perugino. Rinascimento immortale ha tentato di restituire al maestro il ruolo che merita nella storia dell’arte, mettendone in luce le novità, i meriti, il carattere.
Prodotto da Ballandi e diretto da Giovanni Piscaglia, su soggetto dello stesso Piscaglia con Marco Pisoni e Filippo Nicosia, il docu-film, che si avvale della partecipazione straordinaria di Marco Bocci, ha provato a smentire Vasari, consegnando allo spettatore prove e documenti, ascoltando le voci di studiosi e storici dell’arte, analizzando le opere nel dettaglio. Alla ricerca di una verità diversa da quella arrivata fino ai giorni nostri.

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