Messico: accuse ad Amazon per centro distribuzione accanto a baraccopoli

- di: Redazione
 
La decisione di Amazon di aprire a breve un enorme centro di distribuzione a Tijuana, città messicana al confine con gli Stati Uniti, accanto ad una baraccopoli ha scatenato una valanga di critiche nei confronti del gigante dell'e-commerce, accusato di sfruttamento della manodopera messicana a basso costo per rifornire il mercato statunitense.

Sulla rete i commenti, in ordine al comportamento di Amazon, vanno da "scandaloso" a "distopico" , passando per chiose sui nuovi confini del capitalismo. Il nuovo ultramoderno centro si estende su 32 metri quadrati ed è costato 21 milioni di dollari (circa 17,8 milioni di euro).

Per il sociologo Carlo Gomez il centro di distribuzione di Amazon di Tijuana è ''un'immagine brutale che riflette in modo crudo l'avanzare delle disuguaglianze nel mondo". Nelle regioni di confine messicane, il salario minimo è fissato a 213 pesos (11 dollari, l'equivalente di 9 euro) al giorno, contro i 15 dollari l'ora negli Stati Uniti.

Amazon: polemiche per l'apertura di un centro a Tijuana

Sul tema dei carichi di lavoro c'è chi accusa Amazon di sfruttare le possibilità date dalla legislazione messicana, con i dipendenti che lavorano oltre sessanta ore a settimana. Accuse completamente smentite dall'azienda, che, attraverso una portavoce, Marisa Vano, ribadisce il rispetto del diritto del lavoro messicano: ''I nostri stipendi e i benefit rafforzano le comunità locali e questi investimenti aiutano queste regioni a crescere".

Marisa Vano insiste anche sul fatto che il colosso dell'e-commerce ''ha creato 15.000 posti di lavoro in Messico", ai quali si aggiungeranno i 250 posti del centro di Tijuana.
Il clamore intorno alla nuova struttura distributiva di Tijuana è solo l'ultimo caso, in ordine di tempo, intorno alle attività di Amazon in Messico. Secondo una indagine pubblicata ad aprile da Reuters, i dipendenti di un centro di distribuzione vicino a Città del Messico erano stati sottoposti a straordinari obbligatori oltre la durata legale.

Altri sarebbero stati costretti a dimettersi senza TFR, dopo aver contratto il Covid-19. Pochi giorni prima, negli Stati Uniti, Amazon aveva riconosciuto che alcuni dei suoi dipendenti americani erano stati costretti a urinare nelle bottiglie per stare al passo con le tabelle di lavoro imposte.
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