Medio Oriente: qual è la vera strategia di Israele?

- di: Redazione
 
L'inizio dell' operazione militare israeliana in territorio libanese pone ulteriori interrogativi non sugli obiettivi che Gerusalemme si è posti, quanto per capire sino a che punto il governo di Benjamin Netanyahu è disposto a spingersi per raggiungerli, nonostante le cancellerie di mezzo mondo lo invitino a fermarsi.
Mandare al di là del confine i micidiali Merkava (i carri armati di costruzione israeliana, progettati specificamente per operare anche in terreni accidentati o in normali strade e che nel nome riecheggiano il biblico carro di fuoco) non è solo una dimostrazione di forza, ma l'esigenza, con la distruzione di obiettivi specifici (le strutture usate da Hezbollah per i suoi lanciatori di razzi) , di garantire una larga zona di sicurezza tra il territorio libanese e il nord di Israele.

Medio Oriente: qual è la vera strategia di Israele?

Che questi obiettivi possano ampliarsi, territorialmente, ma anche per quel che concerne il dispiegamento di forze e mezzi, non è cosa che si possa escludere, anche se l'inusuale comunicato con cui ieri sera l'IDF ha dato l'annuncio dell'inizio dell'operazione lascia pensare che l'offensiva sarà circoscritta soprattutto dagli obiettivi che ne sono stati alla base.
Dietro l'invio di uomini in Libano, mentre non si interrompono gli attacchi aerei che stanno mettendo in ginocchio Hezbollah, c'è anche l'aspetto psicologico verso la popolazione ''non sciita'', nel tentativo di metterla contro il movimento islamista, che Gerusalemme cerca di accreditare come il solo responsabile di quanto accade e potrebbe accadere anche in futuro.

Al di là delle esagerate esibizioni coreografiche, con le parate di uomini in armi e mascherati, anche i quartieri che non ne condividono le battaglie, Hezbollah - con la sua santabarbara continuamente alimentata da Teheran - è meno forte di quel che vorrebbe mostrare, pur essendo molto pericoloso per Israele, esposto al lancio di razzi dal Libano meridionale.

Gerusalemme quindi, dopo avere decapitato politicamente e militarmente il movimento, ora deve attuare una strategia di neutralizzazione di lungo periodo per evitare che, una volta che la ''testa del serpente'' è stata mozzata, essa, come l'Idra, si riproponga magari con fattezze diverse.
Ma il nemico vero, quello che tira le file dei movimenti armati sciiti che hanno come quotidiano obiettivo Israele, è la teocrazia iraniana che, ogni qualvolta che Israele colpisce un capo di qualche gruppo islamista, si sente minacciato direttamente, dicendo di essere pronto a reagire.

Non sono parole dette così per dire, perché l'Iran si sente investito, solo tra i Paesi della regione, del supremo compito di gettare a mare gli ebrei, di cancellare Israele dalla cartina del Medio Oriente.
Ma sino a che punto le parole degli ayatollah spaventano veramente Israele?
Tanto e poco, anche se questa affermazione può apparire paradossale.

Tanto, perché la macchina militare (e paramilitare) di Teheran è possente, soprattutto nei numeri e nella connessione con i gruppuscoli sciiti con i quali ha disseminato i confini di Israele.
Poco, come relativa è la paura che incute come qualità del suo arsenale, che poggia ancora su materiali non moderni, quando non addirittura obsoleti, ad eccezione dei droni che ha imparato a costruire, vendendoli in giro laddove c'è una guerra (come alla Russia).

Per questo difficilmente l'Iran attuerà una risposta militare proporzionale alla violenza di quella verbale, nella consapevolezza di non potere reggere il peso della macchia bellica israeliana.
E', quindi, probabile che continuerà per procura la sua guerra ad Israele, foraggiando i gruppi armati sciiti, ma senza scontrarsi direttamente con l'esercito di Gerusalemme, ma soprattutto con la sua forza aerea, enormemente più potente nei numeri, nella qualità dei cacciabombardieri (che sarebbero fondamentali) e nella preparazione dei piloti. Perché, alla fine, sarà la componente umana ad essere decisiva.
Ma il mondo deve comunque fare di tutto che il Medio Oriente si incendi completamente, perché le conseguenze peserebbero a livello globale. E l'Occidente, che ancora dipende energeticamente dal petrolio arabo, non se lo può permettere.
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