L’“Italia fuori dall’Italia” è ormai una regione a sé. Record di espatri nel 2024, giovani e donne in prima linea. Le ragioni? Lavoro instabile, merito negato, servizi scarsi. E le ricette per non perdere un’altra generazione.
Un fenomeno diventato struttura
L’ultima fotografia scatta un dato netto: al 1° gennaio 2025 risultano iscritti all’Aire 6.412.752 italiani, circa uno su nove tra i residenti con cittadinanza italiana. È la mappa di un’“Italia fuori dall’Italia” che non è più un’eccezione ma una parte organica del Paese. Dopo la crisi del 2008 la mobilità è cresciuta anno dopo anno, fino al record storico di 155.732 espatri nel 2024. Numeri che dicono molto più di qualsiasi slogan.
Chi parte e dove va
La bussola resta l’Europa: tre espatri su quattro puntano su Regno Unito, Germania e Svizzera. Ma la traiettoria è sempre più circolare: si parte, si rientra, si riparte. A crescere, oltre ai giovani, sono le donne (oggi quasi la metà degli iscritti Aire) e gli over 50, spesso nonni o lavoratori che si ricongiungono con figli e nipoti all’estero.
Perché si parte davvero
Dietro ogni valigia c’è una diagnosi severa. La spinta nasce da un sistema bloccato: lavoro instabile, servizi inadeguati, scarso riconoscimento del merito, opportunità di crescita limitate. Non è soltanto “mobilità internazionale”: è la scelta di uscire da un’irriducibile invisibilità. In vent’anni, tra 2006 e 2024, gli espatri sono stati 1,64 milioni a fronte di 826 mila rimpatri: un saldo negativo di oltre 817 mila persone.
L’allarme che conta: dal temporaneo al definitivo
La trasformazione che preoccupa è questa: il progetto migratorio diventa stabile. Non più un’esperienza da mettere a curriculum e riportare a casa, ma una nuova cittadinanza che si consolida altrove. La mobilità è una risorsa da ascoltare e valorizzare, non una ferita da nascondere
, ha ricordato chi lavora ogni giorno con le comunità italiane nel mondo.
Dentro i numeri, le persone
Tra i nuovi iscritti per “espatrio” nel 2024 spiccano i giovanissimi e i giovani adulti; aumentano i nuclei familiari, i minori, i lavoratori maturi che si ricongiungono. Le comunità italiane all’estero sono sempre più qualificate, integrate nei sistemi produttivi dei Paesi di arrivo, motori di export e di reti culturali. Ma il contraccolpo interno è evidente: territori che perdono competenze, natalità e innovazione.
L’impatto economico e sociale
Se l’“Italia ventunesima regione” cresce fuori confine, dentro i confini si allarga la faglia tra aree dinamiche e aree in ritardo. In dieci anni il Mezzogiorno ha visto un deflusso costante verso Centro-Nord ed estero; città medie e aree interne faticano ad agganciare la trasformazione digitale e verde. Il risultato è un Paese che produce valore anche oltre confine ma che non riesce a trattenerlo lungo la propria filiera educativa e industriale.
Cosa può fare l’Italia
Non bastano bonus o appelli al rientro. Servono salari competitivi e contratti stabili nelle filiere innovative; dottorati industriali e carriere accademiche più rapide; welfare territoriale (nidi, case dello studente, sanità di prossimità) che riduca i costi di vita; politiche per l’abitare contro l’inflazione immobiliare delle città universitarie; reclutamento per merito nella PA e tempi certi per autorizzazioni e investimenti.
L’agenda immediata
- Taglio del cuneo sui profili STEM e sanitari in ingresso o rientro.
- Visti rapidi per ricercatori stranieri e team misti Italia–estero.
- Borse di rientro pluriennali con valutazioni indipendenti.
- Un Fondo competenze di comunità per progetti nelle aree interne guidati da giovani rientrati.
- Crediti d’imposta per imprese che assumono neolaureati in R&S per almeno 36 mesi.