Iran, confermata la condanna a morte di Pakhshan Azizi: un caso simbolo della repressione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 

La Corte Suprema iraniana ha confermato la condanna a morte di Pakhshan Azizi, attivista curda di 40 anni, arrestata nell’agosto del 2023 con l’accusa di "ribellione" e presunti legami con gruppi armati curdi. La sentenza, emessa lo scorso giugno, era stata impugnata dal suo avvocato, Amir Raisian, che aveva evidenziato numerose irregolarità processuali. "Nonostante i difetti evidenti e l’assenza di prove concrete, il ricorso è stato respinto. Continueremo a lottare chiedendo un nuovo processo", ha dichiarato Raisian al quotidiano Shargh.

Iran, confermata la condanna a morte di Pakhshan Azizi

Azizi è detenuta nella prigione di Evin, a Teheran, una struttura tristemente nota per le condizioni di detenzione dure e per l’uso sistematico della tortura. Amnesty International ha definito il processo "gravemente iniquo", descrivendo Azizi come un’operatrice umanitaria che dal 2014 al 2022 ha prestato soccorso a donne e bambini nei campi profughi in Siria e Iraq, territori devastati dalle violenze dello Stato Islamico. Secondo l’organizzazione, l’attivista è stata sottoposta a "sparizione forzata" e "maltrattamenti fisici e psicologici durante gli interrogatori".

Un clima di crescente repressione

Il caso Azizi si inserisce in un contesto di repressione crescente in Iran, soprattutto nei confronti delle donne e delle minoranze etniche. L’arresto e la condanna sono avvenuti dopo le proteste del 2022 e 2023, quando il movimento Donna, Vita, Libertà ha portato in piazza milioni di persone, chiedendo maggiore libertà e diritti.

Secondo l’ong Iran Human Rights, con sede in Norvegia, nel 2024 almeno 31 donne sono state giustiziate in Iran, un dato che evidenzia come il regime abbia intensificato l’uso della pena di morte per reprimere il dissenso. Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell’organizzazione, ha sottolineato che il caso Azizi "non è un caso isolato, ma un messaggio di intimidazione a tutta la società".

Le reazioni internazionali

Il caso ha attirato l’attenzione di diverse organizzazioni internazionali e figure pubbliche. Tra queste, Narges Mohammadi, Premio Nobel per la Pace 2023 e attivista per i diritti umani, che ha condiviso un periodo di detenzione con Azizi a Evin. Mohammadi ha definito la sentenza "un atto di vendetta contro le donne e contro il movimento di protesta", e ha esortato la comunità internazionale a non restare indifferente.

Anche Cecilia Sala, giornalista italiana recentemente rilasciata dopo tre settimane di detenzione nella stessa prigione, ha raccontato le difficili condizioni vissute dai detenuti prima ancora di essere lei stessa arrestata "A Evin la violenza è parte del sistema. Le donne subiscono pressioni psicologiche e fisiche per estorcere confessioni, e la paura è usata come arma per spezzare il loro spirito". Sala ha descritto Azizi come "un simbolo della lotta per la libertà in un Paese che cerca di soffocare ogni voce di dissenso".

Una richiesta di giustizia

L’avvocato di Azizi sta ora preparando una nuova richiesta di revisione del processo, sperando in un esito diverso. Tuttavia, la possibilità che la condanna venga annullata appare remota, considerata la rigidità del sistema giudiziario iraniano, spesso accusato di essere strumentalizzato dal regime per motivi politici.

La comunità internazionale continua a monitorare la vicenda. Organizzazioni come Amnesty International e Iran Human Rights chiedono alle istituzioni globali, dall’ONU all’Unione Europea, di intervenire con urgenza per salvare la vita di Azizi. "Questo caso è un test per la comunità internazionale: mostrare che la difesa dei diritti umani non è solo una dichiarazione di principio, ma un impegno concreto", ha affermato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa.

Mentre il mondo guarda, la vita di Pakhshan Azizi resta appesa a un filo. La sua storia è un monito della complessità e della brutalità di un regime che non tollera opposizioni e un simbolo della resistenza silenziosa che continua, nonostante tutto.

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