Burocrazia, l’allarme CGIA: alle Pmi costa 80 miliardi l’anno

- di: Barbara Leone
 
Nell’offerta dei servizi pubblici digitali, la nostra Pubblica Amministrazione (PA) è tra le peggiori d’Europa; conseguentemente i tempi medi per il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni sono tra i più elevati. Insomma, carte, timbri, moduli da compilare e attese agli sportelli sono vissuti da tanti imprenditori come dei veri e propri incubi. Per tanti cittadini, invece, quando ci si deve interfacciare con la macchina pubblica spesso si scivola in un profondo stato di angoscia. Non solo, con un miglioramento della qualità dei servizi pubblici che avanza a passo di lumaca, la cattiva abitudine della nostra PA di richiedere, in particolare alle imprese, dati e documenti che le amministrazioni già possiedono è diventata una prassi consolidata.

Burocrazia, l’allarme CGIA: alle Pmi costa 80 miliardi l’anno

A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA. Questi disservizi, purtroppo, hanno una ricaduta economica spaventosamente elevata. Elaborando alcuni dati pubblicati dall’OCSE, per le nostre Pmi il costo annuo ascrivibile all’espletamento delle procedure amministrative è di 80 miliardi di euro. Praticamente una tassa nascosta da far tremare i polsi. La complessità nell’adempiere alle procedure imposte dalla nostra PA è un problema che in Italia è sentito da ben 73 imprenditori su 100. Tra i 20 paesi dell’Area dell’Euro solo in Slovacchia (78), in Grecia (80) e in Francia (84) la percentuale degli intervistati che ha denunciato questo problema è superiore al tasso riferito al nostro Paese. La media dell’Eurozona è pari a 57. Qualsiasi osservatore farebbe fatica a immaginare che in un Paese la PA possa rappresentare un ostacolo, anziché un elemento di sostegno e di crescita economica. Ma in Italia, purtroppo, le cose stanno diversamente. Intendiamoci, anche noi possiamo contare su punte di eccellenza della macchina pubblica non riscontrabili nel resto d’Europa, ma mediamente la nostra PA funziona con difficoltà e in alcune aree del Paese costituisce un freno allo sviluppo. Si pensi che, in virtù del Regional Competitiveness Index (RCI), con riferimento al sub-indice relativo al contesto internazionale, tra tutte le realtà italiane la prima, la Provincia Autonoma di Trento, si posiziona al 158° posto, su 234 territori UE monitorati in questa indagine. Dove PA più efficiente, territori più produttivi Secondo uno studio dell’OCSE, l’inefficienza della nostra Pubblica Amministrazione ha delle ricadute negative sul livello di produttività delle imprese private. In buona sostanza, dai calcoli dell’Organizzazione ottenuti attraverso l’incrocio della banca dati Orbis del Bureau van Dijk e dei dati di Open Civitas, emerge che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone (Nord Italia) dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente (sempre Nord Italia). Diversamente, dove la giustizia funziona peggio, la sanità è malconcia e le infrastrutture sono insufficienti (prevalentemente nel Sud Italia), anche le imprese private di quelle regioni perdono competitività.

Innanzitutto, bisogna semplificare il quadro normativo. Cercare, ove è possibile, di non sovrapporre più livelli di governo diversi sullo stesso argomento e, in particolar modo, accelerare i tempi di risposta della Pubblica amministrazione. Con troppe leggi, decreti e regolamenti i primi penalizzati sono i funzionari pubblici che nell’incertezza interpretativa si “difendono” spostando nel tempo le decisioni. Nello specifico è necessario: migliorare la qualità e ridurre il numero delle leggi, analizzando più attentamente il loro impatto, soprattutto su micro e piccole imprese; monitorare con cadenza periodica gli effetti delle nuove misure per poter introdurre tempestivamente dei correttivi; consolidare l’informatizzazione della Pubblica amministrazione, rendendo i siti più accessibili e i contenuti più fruibili; far dialogare tra di loro le banche dati pubbliche per evitare la duplicazione delle richieste; permettere all’utenza la compilazione esclusivamente per via telematica delle istanze; procedere e completare la standardizzazione della modulistica; accrescere la professionalità dei dipendenti pubblici attraverso un’adeguata e continua formazione.

L’Institutional Quality Index (IQI) è un indice che misura la qualità delle istituzioni pubbliche presenti in tutte le realtà territoriali italiane. Lo stesso è stato concepito nel 2014 dall’Università degli Studi di Napoli Federico II. Questo misuratore assume un valore che va da 0 a 1; a differenza di altri che si basano sulle percezioni dei cittadini, quello redatto dai docenti napoletani fa riferimento a dati oggettivi e considera i servizi pubblici, l’attività economica territoriale, la giustizia, la corruzione, il livello culturale e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Recentemente è stato aggiornato al 20197 . Il risultato che emerge dall’applicazione di questo parametro ci consegna un Paese spaccato a metà; se i livelli di eccellenza più elevati della nostra PA a livello territoriale si concentrano prevalentemente al Nord, quelli più modesti, invece, si trovano al Sud. La realtà territoriale più virtuosa d’Italia è Trento, con indice IQI 2019 pari a 1; rispetto a 10 anni prima la provincia trentina ha recuperato 2 posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio scorgiamo Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma. Insomma, nei primi 10 posti, ben 8 province appartengono alla macro area del Nordest. In coda, infine, notiamo Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia che, purtroppo, occupa l’ultima posizione.

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