La manovra d’inverno si trasforma in una manovra “in corsa”. Un intervento correttivo corposo presentato nelle ultime fasi dell’iter al Senato
rimette mano a tre capitoli che in Italia fanno sempre rumore: previdenza, tassazione e incentivi alle imprese.
Il messaggio politico è chiaro: aggiustare i conti, indirizzare scelte economiche e chiudere il testo entro la fine dell’anno.
Il problema è altrettanto chiaro: ogni correzione crea vincitori, scontenti e una nuova domanda su “chi paga davvero”.
Il nodo Tfr: automatismo per i neoassunti e 60 giorni per dire no
La misura più simbolica riguarda il trattamento di fine rapporto dei nuovi assunti nel privato.
Il meccanismo che prende forma è quello del silenzio-assenso: se il lavoratore non esprime una scelta entro una finestra temporale,
il Tfr viene indirizzato verso la previdenza complementare.
Il punto operativo, come riportato da fonti di stampa e di settore, è la tempistica: 60 giorni dalla prima assunzione
per comunicare una decisione diversa (mantenere il Tfr nel regime ordinario o scegliere un fondo differente).
L’obiettivo dichiarato è spingere l’adesione ai fondi e rafforzare il “secondo pilastro” pensionistico,
in un Paese dove l’invecchiamento demografico rende sempre più delicato l’equilibrio tra contributi versati e pensioni pagate.
Sulla stessa misura si è aperto subito il fronte sociale.
La Cgil ha contestato l’impostazione, sostenendo che l’intervento rischia di comprimere la contrattazione e di spostare equilibri
tra lavoratori, imprese e fondi senza un confronto preventivo.
Pensioni: una doppia stretta che scatta negli anni “sensibili”
Sul capitolo pensioni l’intervento è chirurgico e, proprio per questo, politicamente esplosivo: non tocca l’oggi immediato, ma agisce sul domani,
quando i numeri demografici peseranno di più e la sostenibilità sarà un tema ancora più duro.
Primo intervento: la finestra mobile per l’uscita anticipata viene allungata in modo progressivo.
In sostanza, tra il momento in cui si maturano i requisiti e l’assegno effettivo, il tempo di attesa cresce:
più mesi man mano che ci si avvicina al 2035.
Sono previste eccezioni per alcune platee già agganciate a strumenti di sostegno (ad esempio fondi di solidarietà).
Secondo intervento: cambia l’effetto del riscatto della laurea breve per chi punta alla pensione anticipata.
Dal 2031 una parte dell’anzianità riscattata non conterebbe più ai soli fini del diritto alla pensione anticipata
basata sui requisiti contributivi, con un meccanismo che cresce negli anni successivi.
È una scelta che, tradotta in vita reale, significa una cosa sola: per alcune carriere l’uscita potrebbe spostarsi in avanti.
Imprese: incentivi fino al 2028, ma con regole più uniformi
Sul fronte produttivo la linea è “orizzonte lungo”: gli incentivi per l’acquisto di beni strumentali
collegati alla trasformazione tecnologica e digitale vengono estesi fino al 30 settembre 2028.
La novità non è solo la proroga, ma la riscrittura della scala degli aiuti.
La traiettoria, così come emerge dalle ricostruzioni specialistiche, è una razionalizzazione:
stop alle aliquote più iper-selettive previste per alcuni investimenti “verdi” e tetto massimo più uniforme.
In parallelo, viene indicata una chiusura agli incentivi per investimenti realizzati fuori dall’Europa,
scelta che incrocia anche la partita geopolitica delle catene del valore.
Assicurazioni: nuove entrate e rischio rincari su Rc auto
Per finanziare parte degli aggiustamenti entrano in scena le assicurazioni.
È qui che la manovra smette di essere un testo “da addetti ai lavori” e diventa immediatamente popolare:
quando si toccano le polizze, la percezione è istantanea, perché la bolletta arriva.
Diversi aggiornamenti convergono su un punto: dal 2026 cresce l’imposizione su componenti legate alle coperture auto,
con un salto di aliquota che può tradursi in premi più alti.
Le associazioni dei consumatori hanno già messo le mani avanti: l’aumento fiscale, sostengono, tende a essere trasferito
sui clienti finali.
La “micro-ritenuta” sulle fatture tra imprese: l’1% dal 2029
C’è poi una misura che parla il linguaggio del contrasto all’evasione e della tracciabilità:
l’introduzione di una ritenuta dell’1% (al netto Iva) sui pagamenti delle fatture elettroniche
tra imprese, con avvio differito al 2029.
L’idea di fondo è creare un “gancio” fiscale che incentivi comportamenti regolari lungo la filiera dei pagamenti.
Anche qui, come spesso accade, il diavolo è nei dettagli: esclusioni e regimi premiali (per chi aderisce a strumenti di compliance)
possono determinare quanto la norma sarà davvero un freno all’irregolarità o, al contrario, un costo amministrativo in più.
Il fattore tempo: calendario che slitta e scontro sulla discussione
A rendere tutto più teso è il cronometro. La discussione si intreccia con la necessità di chiudere entro fine anno
e con un calendario che, secondo più ricostruzioni, si è spostato in avanti:
approdo in Aula al Senato nella settimana che porta a Natale e passaggio alla Camera nella finestra tra festività e fine anno.
Traduzione politica: meno tempo per limare, più rischio di voto “a blocchi”, più scontro sulla qualità del confronto.
Chiavi di lettura: perché queste mosse adesso
Dietro l’insieme di correzioni c’è una logica a tre livelli:
rafforzare la previdenza integrativa (spingendo il Tfr verso i fondi),
contenere la dinamica futura della spesa pensionistica (con interventi progressivi su finestre e riscatti),
tenere vivo il motore degli investimenti (con un orizzonte pluriennale sugli incentivi).
Il prezzo politico, però, è inevitabile: per ogni incentivo che si allunga, c’è un settore chiamato a contribuire di più;
per ogni stretta spostata in avanti, c’è una generazione che si sente colpita “perché nata nel periodo sbagliato”.
Ed è esattamente qui che, nelle prossime sedute parlamentari, si capirà se il maxi-emendamento è un punto d’arrivo
o soltanto un’altra bozza destinata a cambiare ancora.