Due tavolette, un ritorno in pubblico e un caso di studio che accende discussioni (e microscopi).
(Foto: le due tavolette attribuite al Perugino).
Piccole abbastanza da stare “in mano”, ma rumorose come una campana in piazza: due tavole attribuite a Pietro Vannucci, detto il Perugino,
sono tornate al centro della scena culturale di Perugia. Il dittico — Cristo coronato di spine e Vergine — è stato presentato in città
dopo l’acquisto all’asta a Vienna (ottobre 2024) e oggi è visibile a Palazzo Baldeschi, lungo corso Vannucci.
La formula con cui l’operazione è stata raccontata durante la presentazione è, di per sé, una dichiarazione di intenti:
“Un atto di tutela e valorizzazione del patrimonio umbro”. Non solo un colpo da collezione, quindi, ma una mossa che mira a rimettere
nel circuito pubblico opere passate per decenni in raccolte private fuori dall’Italia.
Che cosa sono, davvero, queste due tavole
Il cuore del fascino sta anche nell’oggetto, prima ancora che nell’autore: i pannelli sono sottili e dipinti a olio su tavola,
con dimensioni compatte (circa 33,5 × 27,5 cm ciascuno, secondo la scheda d’asta). Sul retro, un rivestimento in cuoio impresso e dorato
richiama l’aspetto di una coperta di libro: un dettaglio che non è folklore, ma indizio funzionale.
L’ipotesi più ricorrente è che si trattasse di un altarolo domestico trasportabile, con elementi di cerniera ancora in parte presenti:
due immagini “a fronte”, come pagine, pensate per la devozione privata. In altre parole: non un quadro “da parete”, ma un dispositivo di preghiera,
intimo e mobile.
L’asta di Vienna e il dettaglio che ha fatto alzare le sopracciglia
Il 22 ottobre 2024 il dittico è passato in asta a Vienna in una vendita di Old Masters. Il risultato è stato alto e molto commentato:
842.800 euro, accompagnato dall’idea di un “record” in quella sede.
Perché conta? Perché qui il mercato non è solo mercato: quando il prezzo diventa notizia, di solito è perché si sommano tre fattori —
rarità, stato di conservazione, peso attributivo. E su quest’ultimo punto, come vedremo, Perugia ha scelto
di non spegnere la discussione: l’ha portata sul palco.
La “firma” invisibile: stile, fondo scuro e suggestioni veneziane
Uno dei nodi più interessanti riguarda il momento della carriera a cui il dittico rimanderebbe: una fase segnata dal passaggio veneziano,
quando Perugino risulta chiamato per lavori legati al Palazzo Ducale (commissione del 1494 per la Sala del Gran Consiglio, richiamata da fonti biografiche).
In questa lettura, il dettaglio che salta agli occhi è il fondo scuro: niente paesaggio, niente “aria” dietro i volti.
Una scelta che concentra tutto sull’espressione e sulla materia pittorica. Diverse ricostruzioni collegano l’effetto a un clima lagunare:
tra i nomi evocati compaiono Alvise Vivarini e, in alcuni confronti, suggestioni legate a Antonello da Messina.
Tradotto: il dittico non sarebbe solo “Perugino”, ma un Perugino in dialogo con un’altra scena artistica — e proprio questo lo rende interessante,
perché quel passaggio veneziano, per definizione, è un segmento breve e meno documentato rispetto ai capitoli umbri più celebri.
Dentro la pittura: che cosa dicono le analisi scientifiche
La presentazione a Perugia ha insistito su un punto: non ci si è limitati a esporre le tavole, si è voluto anche misurarle.
Una campagna diagnostica ha evidenziato una stesura a velature sottili e una craquelure coerente con l’olio su tavola, con pigmenti
citati nelle descrizioni tecniche divulgative (tra cui vermiglione e biacca, oltre a terre e composti a base di rame e carbonio).
Sono state segnalate integrazioni (di epoche diverse), abrasioni e piccole lacune.
Su una delle due tavole viene ricordato un intervento di riparazione “a tassello”, e la presenza di tracce di attività xilofaga ormai stabilizzata.
Un dettaglio tecnico spesso citato: i pannelli sarebbero insolitamente sottili (circa 7 mm), caratteristica coerente con un oggetto
pensato per essere maneggevole.
Il punto delicato: attribuzione sì, attribuzione no (e perché non è uno scandalo)
La parola chiave è “attribuite”. Le tavole sono state sostenute come autografe da diversi studiosi e in più contesti espositivi,
ma la discussione non è stata chiusa con un timbro definitivo: ed è un bene.
Nel mondo dell’arte antica, soprattutto per opere devozionali minute e per un artista con bottega e collaboratori, il dibattito attributivo è fisiologico.
Quando un caso resta aperto, spesso diventa un laboratorio per capire “come” lavorava un pittore, che cosa delegava, quali soluzioni ripeteva,
come cambiava da un contesto all’altro.
Nella narrazione perugina, il dittico è stato proposto come caso di studio per interrogare la fase matura di Vannucci:
stile, materiali, confronti e un’idea di Perugino meno “cartolina umbra” e più europeo, attraversato da influenze e sperimentazioni.
Non arriva da solo: la “costellazione Perugino” a Palazzo Baldeschi
L’acquisizione si inserisce in un percorso di costruzione di collezione: a Palazzo Baldeschi vengono ricordate anche altre opere legate al Maestro,
tra cui la Madonna con Bambino e due cherubini (acquisita nel 1987) e un San Girolamo penitente entrato in collezione nel 2017.
Il senso, qui, è strategico: non “una” sala, ma una trama. Mettere accanto opere di momenti diversi permette di vedere continuità e scarti:
un volto che cambia, una luce che si fa più scura, una materia che diventa più sottile.
Perché questa storia riguarda anche chi non ama i musei
Perché racconta come si costruisce il patrimonio, oggi: non solo con restauri e mostre, ma con scelte economiche, valutazioni scientifiche e responsabilità pubblica.
L’acquisto è stato presentato come restituzione alla fruizione collettiva di opere finite per anni in collezioni private,
e la discussione aperta sull’attribuzione dimostra che qui non si cerca l’applauso facile: si accetta la complessità.
In tempi in cui tutto deve essere “definitivo”, un dittico che dice “studiamolo meglio” è quasi una provocazione virtuosa.