Cambiamenti climatici e conflitti aumentano la fame nel mondo: allarme dell’Indice Globale della Fame 2024

- di: Barbara Leone
 
Negli ultimi quattro anni, eventi climatici estremi e conflitti hanno fatto crescere del 26% il numero di persone che soffrono la fame, frenando i progressi globali nella lotta alla malnutrizione. L'obiettivo Fame Zero entro il 2030 appare sempre più irraggiungibile: al ritmo attuale, il mondo potrebbe raggiungere un livello di fame "basso" solo nel 2160, tra più di un secolo. Questa è la drammatica prospettiva tracciata dall'Indice Globale della Fame 2024 (GHI), una delle principali fonti di monitoraggio della fame nel mondo, curato per l'Italia da Cesvi e redatto da Welthungerhilfe e Concern Worldwide. Quest’anno, con la partecipazione dell'Institute for International Law of Peace and Armed Conflict (Ifhv), il report denuncia le cause e le conseguenze della crisi alimentare mondiale. Nel 2023, sono state ben 733 milioni le persone costrette a fare i conti con la fame, con un aumento di 152 milioni rispetto al 2019. La situazione è drammatica soprattutto in Africa, dove una persona su cinque soffre di malnutrizione. A peggiorare ulteriormente le condizioni, circa 3 miliardi di persone non possono permettersi una dieta sana a causa dei rincari alimentari e della crisi del costo della vita. “Acuta insicurezza alimentare e il rischio di carestia stanno aumentando. L’uso della fame come arma di guerra è ormai dilagante”, afferma Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi sottolineando che “Alla base di questi dati allarmanti troviamo uno stato di crisi permanente, causato da conflitti diffusi, impatti sempre più devastanti dei cambiamenti climatici, problemi economici, crisi del debito e disuguaglianze”.

Cambiamenti climatici e conflitti aumentano la fame nel mondo: allarme dell’Indice Globale della Fame 2024

L’Indice Globale della Fame misura la fame globale basandosi su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Quest’anno, il punteggio globale è di 18,3, ovvero "fame a livello moderato". Tuttavia, sei Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen) presentano ancora livelli di fame allarmanti, e altri 36 hanno un livello grave. “I progressi tra il 2000 e il 2016 dimostrano che un miglioramento sostanziale è possibile”, spiega Piziali. “Ma dal 2016 i progressi si sono arenati e, in alcuni Paesi, sono addirittura regrediti”. Secondo il GHI, due terzi dei 130 Paesi esaminati nell’edizione 2024 non hanno registrato miglioramenti nella denutrizione. In 22 Paesi, i punteggi GHI sono peggiorati rispetto al 2016 e, in alcuni casi (come in Venezuela, Siria e Libia), rispetto al 2000. Oltre ai conflitti, la crisi climatica è tra i principali motori di insicurezza alimentare. La frequenza di catastrofi naturali ha raggiunto un picco di 399 eventi nel 2023, con 86.473 morti e oltre 93 milioni di persone colpite, causando perdite economiche per 202,7 miliardi di dollari.

“In 18 Paesi, eventi meteorologici estremi hanno spinto oltre 72 milioni di persone verso l'insicurezza alimentare acuta”, prosegue Piziali sottolineando che “Tra i più vulnerabili, troviamo comunità rurali e famiglie a basso reddito, particolarmente sensibili alle variazioni climatiche”. L’insicurezza alimentare femminile è un altro tema che il rapporto GHI evidenzia con forza: “Le donne rappresentano oltre il 60% delle persone affette dalla fame”, sottolinea Piziali, “pur essendo un pilastro della sicurezza alimentare. Nei Paesi in via di sviluppo, oltre il 43% della forza lavoro agricola è femminile, ma l'accesso alle risorse agricole è scarso”. La malnutrizione infantile è infatti strettamente legata a quella materna, perpetuando un ciclo intergenerazionale di fame e povertà.

L'insicurezza alimentare acuta si è aggravata anche in Paesi come Gaza, dove quasi il 96% della popolazione è ora in condizione di insicurezza alimentare catastrofica o acuta. “Cesvi ha sostenuto la popolazione attraverso la distribuzione di acqua e cibo e il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie nei rifugi”, spiega Piziali. “Inoltre, abbiamo distribuito 18 tonnellate di Plumpy'Nut per trattare la malnutrizione acuta e pacchi alimentari alle famiglie sfollate”. Ma la fame alimentata dai conflitti armati colpisce duramente anche in Sudan, dove il numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta è salito a oltre 20,3 milioni. La situazione è complessa anche in Ucraina, dove la guerra ha peggiorato il punteggio GHI sulla malnutrizione. L'Africa subsahariana e l'Asia meridionale sono le regioni con i punteggi GHI più elevati al mondo, rispettivamente 26,8 e 26,2 (livello grave), a causa di elevati livelli di denutrizione e mortalità infantile. Nell'Asia meridionale, la malnutrizione infantile resta particolarmente elevata, aggravata da disastri naturali e difficoltà economiche. “L’urgenza è evidente”, conclude Piziali nel sottolineare che “È necessario un intervento concreto e incisivo, basato sul rispetto dei diritti umani. Le raccomandazioni del rapporto suggeriscono azioni che vanno dal rafforzamento del diritto a un'alimentazione adeguata a investimenti che promuovano la giustizia di genere e alimentare”.

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