Un approccio ideologico ha condizionato le istituzioni europee nel definire tempi e modalità degli obiettivi di decabonizzazione da raggiungere, di per sé condivisibili”, dice a ItaliaInforma Roberto Vavassori, chief public affairs officer e membro del board di Brembo, che da giugno 2023 è presidente dell’Anfia, l’associazione che riunisce le aziende della filiera italiana dell’Automotive di cui era già stato al vertice tra il 2012 e il 2015. In ogni caso, ricorda, “nel 2026 è prevista una revisione del regolamento. Si dovrà valutare lo stato dell’arte della rete di ricarica nella Ue, il market uptake maturato dalle auto a zero emissioni e l’impatto della transizione sull’occupazione nella filiera della mobilità. Inoltre, resta da definire come verrà declinata l’apertura agli e-fuel, che lascerà un qualche spazio alla sopravvivenza dei motori endotermici”. A questo proposito, sottolinea, “sarebbe opportuno che questa apertura venisse estesa anche ai biocarburanti, che, negli anni della transizione, potrebbero dare un valido contributo al graduale raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione”.
Anfia: dopo l'ok della UE ai carburanti sintetici, potrebbe arrivare anche quello ai biocarburanti
Molti temono che l’industria automotive italiana sia in pericolo con la transizione ecologica imposta dai governi dell’Unione europea. Presidente Vavassori, quanto c’è di vero in questo timore? E quanto, invece, fa parte della propaganda politica?
La transizione ecologica non è una passeggiata per le imprese italiane e richiede importanti investimenti in ricerca e innovazione. Le aziende che a oggi producono componenti per il motore endotermico devono attuare dei piani di riconversione e aprirsi a nuovi business. Le Pmi, in particolare, devono puntare sulle collaborazioni e aggregazioni per incrementare la propria solidità finanziaria e capacità di investimento. Non dimentichiamo, comunque, che il 60% dei componenti di un’auto tradizionale sopravviveranno anche nell’auto elettrica. Non parlerei di propaganda, ma di un approccio ideologico che ha condizionato a monte le istituzioni europee nel definire tempi e modalità degli obiettivi di decabonizzazione da raggiungere, di per sé condivisibili.
Da quasi un anno il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, lavora con Anfia e con Stellantis a una politica industriale per l’automotive in Italia. Negli ultimi tempi, però, le trattative con la multinazionale francese sulla produzione di un milione di veicoli sul territorio italiano sembrano essersi arenate, come dimostrano l’accelerazione sulla riforma degli incentivi, fino a poco tempo fa subordinata all’intesa industriale che però non è arrivata, l’apertura all’arrivo in Italia di altri costruttori automobilistici da parte del ministro Urso e il recente affondo contro Stellantis da parte della presidente del consiglio Giorgia Meloni. Che cosa sta succedendo?
I temi del Tavolo Sviluppo automotive del Mimit, che si articola in 5 sotto-tavoli coordinati da Anfia, sono tanti: produzione ed efficientamento produttivo, mercato, ricerca e sviluppo, formazione e occupazione, transizione della componentistica, accomunati dall’obiettivo di costruire in Italia un milione di autoveicoli leggeri e loro componenti. La rimodulazione degli incentivi – che sarebbero comunque ripartiti nel 2024 secondo l’allocazione prevista dal Fondo Automotive – era un intervento necessario e da tempo richiesto per incrementarne l’attrattività nei confronti di consumatori e imprese – queste ultime avranno finalmente tutte accesso alle misure, rappresentando un utile volano per accelerare lo svecchiamento del parco e fare da traino nell’adozione delle nuove tecnologie. È importante trovare un accordo con Stellantis per traguardare gli obiettivi di produzione e mantenere gli investimenti in ricerca e innovazione sul territorio. Questo non esclude che il Paese, parallelamente, lavori per diventare più attrattivo per gli investitori esteri.
Molti sperano che con le elezioni europee del 2024 il nuovo parlamento e la nuova commissione possano rimettere in discussione il 2035, ossia l’anno entro il quale le auto di nuova immatricolazione dovranno avere emissioni zero. C’è questa possibilità? E pensa che possa essere complessivamente utile un ripensamento o un rinvio?
Al di là di quello che potrebbe succedere a seguito delle elezioni europee, è comunque prevista una revisione a medio termine del regolamento nel 2026, quando si dovrà valutare lo stato dell’arte della rete di ricarica in Ue, il market uptake maturato dalle auto a zero emissioni e l’impatto della transizione sull’occupazione nella filiera della mobilità. Inoltre, resta da definire come verrà declinata l’apertura agli e-fuel, che lascerà un qualche spazio alla sopravvivenza dei motori endotermici. Sarebbe opportuno che questa apertura venisse estesa anche ai biocarburanti, che, negli anni della transizione, potrebbero dare un valido contributo al graduale raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Al contrario di quello che si pensa in Italia, in Europa la transizione procede speditamente. La quota di mercato Bev nel 2023 in Europa ha superato quella del gasolio e ha raggiunto il 14,6%, compresa l’Italia, che con il suo 4,1% zavorra l’intero continente ed è tra gli ultimi paesi dell’Europa. Perché in Italia si pensa che la transizione debba ancora iniziare? E perché gli italiani sembrano così refrattari alle auto elettriche?
In parte questo dipende dal potere d’acquisto che, mediamente, è inferiore in Italia rispetto ad acluni dei major market europei. Per questo gli incentivi all’acquisto devono diventare più attrattivi per i consumatori. Inoltre, anche sul fronte delle infrastrutture di ricarica l’Italia è indietro. Pur potendo contare su un buon numero di punti di ricarica in rapporto all’ancora esiguo parco circolante a batteria (a fine 2022, circa cento punti di ricarica ogni mille autoveicoli leggeri circolanti), deve incrementare le colonnine per il rifornimento fast e ultra-fast sulle strade a scorrimento veloce.
Finora il governo Meloni si è pubblicamente caratterizzato per aperta ostilità all’auto elettrica. La riforma degli incentivi annunciata dal ministro Urso segnala un cambiamento di atteggiamento oppure è più che altro un atto dovuto?
L’idea che il futuro debba essere dominato da un’unica tecnologia certamente non mette d’accordo tutti, anche perché non tutte le imprese riusciranno a riconvertirsi, ma la strada dell’elettrificazione della mobilità è segnata e possiamo farla diventare un’opportunità, anche investendo, come sistema Ue, sulla filiera delle batterie sia dal punto di vista industriale sia dal punto di vista della ricerca. Il prezioso lavoro che stiamo facendo con il Mimit tocca tutti gli elementi essenziali di questa trasformazione, tra cui la domanda e quindi le misure indispensabili per indirizzare le scelte d’acquisto verso le nuove tecnologie.
I carburanti sintetici a cui l’Unione europea ha aperto lo scorso anno saranno un’alternativa realmente possibile o il loro costo, che adesso alcuni stimano in cinque volte quello dei carburanti minerali, li renderà utilizzabili solo a una piccolissima nicchia di utilizzatori e di veicoli?
Su questo tema mancano ancora disposizioni chiare e certe da parte delle istituzioni europee, quindi è difficile fare congetture. Lo scenario, anche in fatto di costo degli e-fuel, potrà cambiare nei prossimi anni in funzione degli investimenti in ricerca e innovazione verso una pluralità di soluzioni oltre all’elettrico.
L’Italia si è battuta per l’ammissione anche dei biocarburanti. Ammesso che possano essere utilizzati, quanto potranno contribuire ad alimentare il circolante?
L’Italia è leader nella produzione di questo tipo di carburanti. Se avessimo a disposizione già da oggi più carburanti a bassa o nulla impronta carbonica derivati da biomasse l’ambiente ne beneficerebbe e i veicoli alimentati in questo modo potrebbero sostituire le vetture a carburanti tradizionali di vecchia generazione (a fine 2022 oltre il 50% del parco circolante auto in Italia è ante-Euro 5). Se su circa 300 milioni di veicoli circolanti oggi in Europa ne venissero alimentati con biocarburanti anche solo il 20-30%, già avremmo un’enorme riduzione dell’impatto ambientale da qui al 2035.
Al di la delle emissioni di CO2 , e-fuel e biofuel hanno la controindicazione di emettere inquinanti come il particolato, l’ossido di carbonio e l’ossido di azoto. Pensa che sia una buona soluzione continuare a utilizzare i carburanti?
I carburanti sintetici non saranno un’alternativa alla mobilità elettrica ma uno strumento per continuare ad alimentare veicoli a combustione interna con carburanti “carbon neutral”. Per essere tali, ovviamente, occorre che l’elettricità utilizzata per produrli provenga da fonti rinnovabili. Guardando ai biocarburanti – altra tecnologia da utilizzare in parallelo all’elettrico - i motori alimentati a biodiesel sono quelli che contengono le minori concentrazioni di monossido di carbonio, di particelle di carbone e di idrocarburi incombusti. A questo si aggiunge la quasi neutralità climatica nel ciclo di produzione-impiego del biodiesel. I biocarburanti, infatti, possono essere carbon neutral perché, impiegati per alimentare i motori termici, sviluppano l’anidride carbonica già presente nella biomassa di partenza, a sua volta captata dall’atmosfera e fissata nella materia organica dalle piante attraverso la fotosintesi.