Alma Mater, il Rettore Molari: "L'Università di Bologna unisce la solidità della tradizione al coraggio dell’innovazione"

- di: Redazione
 

Il Professor Giovanni Molari, ingegnere, è dal 2021 Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna: una città a particolare vocazione universitaria. Con lui abbiamo affrontato alcuni dei numerosi temi sui quali studenti, docenti e famiglie si devono misurare, al fine di poter fornire un’adeguata preparazione ai giovani che escono dalle superiori o che devono affrontare il mondo del lavoro. E’ un compito certamente non facile, in un Paese come il nostro che riserva solo una piccola parte del Pil all’istruzione e formazione. La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil – dati Istat 2023 – riserva infatti il 4,1 per cento del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania: è in generale minore rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8 per cento).

Alma Mater, intervista al Rettore Molari

Professor Molari, le discipline Stem (un termine utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica e i relativi corsi di studio) sembrano essere le più richieste dal mercato del lavoro. Eppure esiste ancora un ‘gap’ fra chi esce dalle Università ed il mondo del lavoro, anche in settori specializzati. Come si potrebbe intervenire per colmare la lacuna?

Siamo costantemente impegnati in azioni di orientamento, sempre più precoci, per favorire l’iscrizione alle lauree STEM anche in prospettiva di parità di genere, che in molti di questi ambiti costituisce un obiettivo fondamentale ma ancora lontano. Sosteniamo inoltre questi corsi di studio con specifiche misure di carattere economico a favore di studentesse e studenti. In linea generale, teniamo presente che cicli economici sempre più veloci rendono difficile prevedere il lavoro futuro, e che abbiamo bisogno di una formazione sempre più flessibile e sempre più innovativa. 

Al di là delle materie tecnico-scientifiche ed economiche, quali possono essere i campi più interessanti per i giovani interessati a discipline umanistiche?

Da sempre l’ambito umanistico è un’eccellenza formativa e scientifica dell’Alma Mater, dai corsi più tradizionali e consolidati ai corsi più innovativi, aperti a intrecci interdisciplinari all’altezza delle sfide contemporanee, come ad esempio il campo delle Digital Humanities, in largo sviluppo, o quello del multilinguismo e dell’interculturalità, o ancora quello della gestione del patrimonio culturale, che richiede sempre più un approccio integrato. Unire la solidità della tradizione al coraggio dell’innovazione è una delle cifre che più caratterizza l’ambito umanistico del nostro Ateneo.  

La ‘Fuga dei cervelli’ ed i Neet (i giovani che non lavorano, né seguono corsi di studio o di formazione) sono problemi speculari ed ancora persistenti. Quali misure adottare per limitarli?

Sono fenomeni speculari, ma distinti. La cosiddetta ‘fuga dei cervelli’ non è un fenomeno in sé patologico; andrebbe anzi considerato un fenomeno del tutto fisiologico in un sistema universitario europeo realmente integrato. L’importante è che la mobilità dei ricercatori sia una scelta libera, bidirezionale e sempre reversibile. Attendiamo novità normative sul cosiddetto “pre-ruolo” e speriamo che vadano nella direzione di tutele crescenti per chi si affaccia al mondo della ricerca. Per parte nostra, abbiamo impegnato ingenti risorse per stabilizzare il maggior numero possibile di ricercatori assunti su fondi non durevoli come quelle del PNRR. Per quanto concerne i NEET, sappiamo che l’Italia vanta un triste primato a livello europeo, con speciale incidenza del fenomeno nelle regioni del Sud. Il problema è scolastico prima che universitario e richiede, oltre che investimenti economici dedicati, un’attività di orientamento sempre più precoce e capillare.       

Ritiene sia necessario un maggior coordinamento fra gli atenei italiani e fra questi e quelli europei? Qual potrebbe essere il profilo ideale di ‘studente universitario europeo’?

Il processo di integrazione del sistema universitario europeo è costantemente in fieri, ma è inevitabilmente un processo lungo e difficile, che deve venire a patti con peculiarità nazionali che, peraltro, sono spesso del tutto rispettabili. Ad esempio, è notorio che la preparazione media di molti universitari italiani – anche grazie all’alta qualità del nostro sistema scolastico – è superiore a quella dei loro pari di diversi paesi. Detto questo, un maggior coordinamento è sicuramente auspicabile e costantemente perseguito da Atenei come l’Alma Mater, che considerano l’internazionalizzazione una dimensione strutturale di ogni propria attività. Siamo il primo Ateneo europeo per scambi Erasmus, e come ho avuto occasione di dire recentemente a Bruxelles, dove siamo stati premiati per il numero di progetti Erasmus Mundus, l’Alma Mater è, in un certo senso, un’Università fondata dagli studenti Erasmus, che nel medioevo si chiamavano “ultramontani”. Il profilo ideale dello studente universitario europeo non si costruisce a tavolino, ma nasce spontaneamente dagli scambi e dall’esperienza.

Chi ha dei figli studenti ‘fuori sede’, sa bene quanto sia oneroso il loro mantenimento. Sarebbe a suo giudizio auspicabile un intervento legislativo per regolare la questione degli affitti per gli studenti o possono esserci soluzioni alternative?

È indiscutibilmente necessario e lo chiediamo da tempo. Urge una regolamentazione nazionale sugli affitti brevi, che stanno prosperando a danno dei “fuori sede” (non solo studenti, ma anche neolaureati e lavoratori). Allo stesso modo, è indispensabile continuare a investire sugli studentati, e specialmente sul sistema degli studentati pubblici o – nel caso di integrazione pubblico/privato – con costante attenzione alle fasce economiche più fragili. 

É passato qualche tempo dalla fine del Covid. Qual è stato l’impatto psicologico e ‘numerico’ della pandemia sulla popolazione studentesca?

Credo che serviranno anni per stimare l’effettivo impatto della pandemia sulle condizioni psicologiche e formative della popolazione studentesca. Dobbiamo essere pronti ad accogliere una generazione di studenti che si è vista sottrarre un segmento importante della propria formazione scolastica e giungerà all’università, realisticamente, con serie lacune di base. La nostra scelta è stata quella di un deciso ritorno in presenza, perché crediamo che la formazione universitaria autentica sia fatta di incontri, di dialoghi, di socialità.

Bologna attrae da sempre migliaia di studenti: qual è il ‘segreto’ di questa città?

Per l’Università di Bologna, “città” va declinato al plurale, perché siamo l’unico Ateneo italiano con assetto Multicampus. Oltre a Bologna siamo a Cesena, a Forlì, a Ravenna, a Rimini. Ognuna di queste sedi ha le proprie peculiarità. Quanto al Campus di Bologna, credo che – per tradizione secolare – rappresenti un caso eccezionale di ecosistema università-città.

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