Dopo la sparatoria contro la Guardia nazionale a Washington, la Casa Bianca congela green card e cittadinanze dai paesi del travel ban e riapre la battaglia su sicurezza, terrorismo e discriminazione.
(Foto: il presidente Usa, Donald Trump).
Un blocco che va oltre il travel ban
L’amministrazione Trump ha deciso di mettere in pausa tutte le domande di immigrazione presentate da cittadini di 19 paesi non europei: non solo visti, ma anche green card e richieste di cittadinanza statunitense.
La misura, resa pubblica fra il 2 e il 3 dicembre 2025, viene motivata con esigenze di sicurezza nazionale e ordine pubblico.
Il provvedimento colpisce i paesi già inseriti nella stretta di giugno sul cosiddetto travel ban 2025, trasformando un regime di restrizioni all’ingresso in un vero congelamento dell’immigrazione legale per chi proviene da queste aree.
L’elenco comprende: Afghanistan, Birmania (Myanmar), Burundi, Ciad, Cuba, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Laos, Libia, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo, Turkmenistan, Venezuela e Yemen.
Per questi cittadini, ogni richiesta di visto, carta verde o naturalizzazione si ferma e potrà ripartire solo dopo una nuova valutazione approfondita.
Il detonatore: la sparatoria contro la Guardia nazionale a Washington
Sullo sfondo della decisione c’è un fatto di cronaca che ha sconvolto gli Stati Uniti: la sparatoria contro due membri della Guardia nazionale avvenuta a Washington a fine novembre 2025.
Un militare è morto e un secondo è rimasto gravemente ferito; il sospetto è un cittadino afghano, arrivato negli Usa dopo il ritiro americano dall’Afghanistan e successivamente ammesso all’asilo.
Secondo le ricostruzioni ufficiali, l’uomo aveva in passato collaborato con unità speciali afghane sostenute dall’intelligence statunitense, un dettaglio che rende ancora più esplosivo il caso: chi era stato considerato alleato è ora indicato come possibile minaccia.
La vicenda ha alimentato l’accusa, rilanciata dalla Casa Bianca, che il precedente governo avrebbe ammesso milioni di stranieri “non adeguatamente vagliati”.
Nella narrazione politica, la sparatoria diventa così il simbolo di un sistema di controllo considerato troppo permissivo e la giustificazione per un nuovo giro di vite sugli ingressi legali negli Stati Uniti.
Come funziona la nuova sospensione
Il cuore della misura è un memorandum del Dipartimento per la Sicurezza interna (Dhs) che ordina una pausa generalizzata delle pratiche e una “revisione approfondita” per chi proviene dai 19 paesi indicati.
In pratica:
- Tutte le domande pendenti (visti, green card, naturalizzazioni) di cittadini nati o aventi cittadinanza in uno dei 19 paesi vengono sospese.
- Ogni richiedente dovrà “sottoporsi a un nuovo scrutinio” che può includere un colloquio aggiuntivo e la verifica incrociata dei dati biometrici e di sicurezza.
- Le autorità possono riesaminare non solo il profilo di sicurezza, ma anche eventuali altri motivi di “inammissibilità” previsti dalla legge sull’immigrazione.
Secondo le stime circolate negli ultimi giorni, la decisione potrebbe riguardare centinaia di migliaia di persone tra richiedenti green card, ricongiungimenti familiari, rifugiati e aspiranti cittadini provenienti dai paesi nella lista.
Il rischio concreto è un ingolfamento del sistema e anni di attesa in più per chi è già da tempo in fila.
Dal travel ban alla stretta sulle green card
Il nuovo stop non nasce nel vuoto. A giugno 2025 il presidente Trump ha firmato la Proclamazione 10949, che introduceva un travel ban aggiornato per dodici paesi e restrizioni parziali per altri sette, con l’obiettivo dichiarato di proteggere gli Stati Uniti da “minacce terroristiche e rischi per la sicurezza pubblica”.
Quella proclamazione consentiva già alla Casa Bianca di limitare o sospendere l’ingresso di stranieri ritenuti ad alto rischio.
Con la decisione di dicembre, la leva viene spostata un passo più avanti: non solo chi vuole entrare negli Usa, ma anche chi vive già nel Paese e si trova nel pieno di un percorso di regolarizzazione o di naturalizzazione può vedersi bloccato.
Già dopo la sparatoria di Washington, il governo aveva disposto la sospensione immediata delle domande di immigrazione dall’Afghanistan e ordinato un controllo a tappeto sui titolari di green card originari dei paesi di “preoccupazione”.
Ora quella prima reazione viene trasformata in politica organica che abbraccia l’intero elenco dei 19 Stati.
Le voci sul campo: avvocati, accademici e associazioni
La decisione ha immediatamente provocato reazioni durissime tra avvocati dell’immigrazione, accademici e organizzazioni per i diritti civili, che parlano di discriminazione mascherata da sicurezza.
Gli studi legali specializzati segnalano già casi di cittadinanze rinviate, cerimonie di giuramento cancellate all’ultimo momento e colloqui di naturalizzazione sospesi per persone che avevano superato tutti i controlli.
Per molti professionisti, fermare le pratiche solo in base alla nazionalità e al luogo di nascita equivale a riportare indietro l’orologio a misure emergenziali del passato.
Alcuni giuristi paragonano il nuovo meccanismo ai programmi introdotti dopo l’11 settembre 2001, quando i maschi sopra i 16 anni provenienti da un ampio gruppo di paesi a maggioranza musulmana furono costretti a registrarsi presso le autorità statunitensi.
Anche allora, sottolineano, la retorica della sicurezza venne usata per giustificare controlli selettivi e spesso sproporzionati.
Il timore condiviso da molte organizzazioni è che la sospensione si trasformi in un blocco di fatto, con pratiche destinate a rimanere congelate per anni, mentre i richiedenti continuano a vivere in una condizione di precarietà giuridica e personale.
La strategia politica di Trump: sicurezza, numeri e retorica
La mossa si inserisce in una strategia più ampia con cui Trump ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema dell’immigrazione, puntando su un mix di numeri allarmanti e linguaggio incendiario.
Il presidente insiste nel raccontare gli anni post-2021 come una fase di “porte spalancate” e controlli insufficienti sui richiedenti asilo e sui rifugiati, in particolare dall’Afghanistan.
Negli ultimi mesi, la Casa Bianca ha promesso una “revisione totale” dei benefici migratori concessi durante l’amministrazione precedente, inclusi i permessi a lungo termine e gli status protetti.
Il blocco delle domande dai 19 paesi diventa così il tassello più visibile di un ripensamento radicale dell’immigrazione legale, non solo di quella irregolare.
Sul piano politico interno, la misura parla soprattutto all’elettorato che teme terrorismo e criminalità importata, rafforzando l’immagine di un governo disposto a “non correre rischi” pur di garantire sicurezza.
Sul fronte opposto, però, alimenta l’accusa di voler bersagliare comunità africane, mediorientali e caraibiche in base alla religione o alla provenienza geografica.
Cosa cambia per chi è già negli Stati Uniti
Le persone più esposte non sono solo i potenziali nuovi arrivati, ma anche coloro che vivono già da anni negli Usa e hanno messo radici: famiglie, lavoratori, studenti, rifugiati.
Per un titolare di green card originario di uno dei 19 paesi, la sospensione può significare:
- slittamento della naturalizzazione con rinvio di cerimonie e giuramenti;
- blocco dei ricongiungimenti familiari, con coniugi e figli che restano all’estero in attesa di un visto che non viene deciso;
- incertezza su permessi di viaggio, rinnovi e cambi di status, che rischiano di essere congelati o oggetto di nuovi controlli.
A livello psicologico, molte comunità parlano di “seconda ondata di travel ban”: non più solo un divieto di ingresso, ma la sensazione di trovarsi sotto una lente permanente di sospetto, anche dopo anni di vita regolare negli Stati Uniti.
Il fronte giudiziario: annunci di ricorsi e possibili scenari
Avvocati e associazioni per i diritti civili preparano già il terreno a una battaglia legale che potrebbe ricalcare quella dei primi travel ban.
Il punto chiave sarà stabilire se il presidente stia facendo un uso legittimo dei poteri riconosciuti dalla legge sull’immigrazione o se stia oltrepassando il limite imponendo, in pratica, divieti basati sulla nazionalità.
Le organizzazioni che seguiranno i ricorsi ricordano che la giurisprudenza americana ha già conosciuto casi in cui misure simili sono state confermate, ma anche decisioni in cui i tribunali hanno imposto paletti alla discrezionalità dell’esecutivo.
Molto dipenderà da come sarà motivato, nel dettaglio, il nuovo memorandum e da quanto a lungo la sospensione verrà mantenuta in vigore.
Sul terreno politico e mediatico, intanto, la stretta sulle domande di immigrazione da 19 paesi extra-Ue promette di restare a lungo un tema esplosivo, al crocevia fra sicurezza, diritti, campagna elettorale e rapporto degli Stati Uniti con il resto del mondo.
Fonti e cronologia essenziale
Le informazioni contenute in questo articolo si basano su:
- dispacci e analisi di agenzie e media internazionali pubblicati il 2–3 dicembre 2025 sulla pausa delle domande di immigrazione dai 19 paesi interessati;
- documenti ufficiali della Casa Bianca e del Dipartimento per la Sicurezza interna relativi alla Proclamazione 10949 del giugno 2025 e alle successive linee guida sull’immigrazione;
- ricostruzioni del caso della sparatoria contro i membri della Guardia nazionale a Washington e del profilo del sospetto afghano coinvolto;
- dichiarazioni pubbliche di avvocati dell’immigrazione, accademici e associazioni per i diritti civili a commento della nuova misura.
La situazione è in evoluzione: sono attesi aggiornamenti sulle cause legali, sui tempi effettivi della sospensione e sui possibili aggiustamenti del provvedimento nei prossimi mesi.