Usa: Trump avvelena i pozzi per rendere difficile la transizione

- di: Diego Minuti
 
Una delle tattiche militari (non solo di guerriglia) che un esercito in rotta attua per rallentare l'avanzata del nemico è lasciarsi terra bruciata alle spalle, distruggendo tutto. Una di queste tattiche, utilizzate secoli fa, era quello di rendere non utilizzabile l'acqua dei pozzi. Quindi, avvelenare i pozzi per rendere difficile al nemico proseguire. Donald Trump sembra avere preso ad esempio l'avvelenamento dei pozzi per ostacolare la transizione tra la sua Amministrazione e quella di Joe Biden che, anche nelle ultime ore, sta cercando disperatamente di avere accesso, da presidente eletto, ai dossier sulla sicurezza (ma anche sulla Sanità) che, quotidianamente, finiscono sulla scrivania del comandante in capo.

Ma Trump ha buttato nel water la correttezza ed il galateo istituzionale. Anche contro tutto e tutti (il conteggio manuale dei voti in Georgia ha sancito al vittoria di Biden) Trump continua a spargere accuse e sospetti, affidando al suo Tigellino, Rudolph Giuliani, il compito di inondare i democratici e lo stesso presidente eletto di contumelie e di sospetti che, in un altro Paese, finirebbero davanti ad un magistrato che ne verifichi la veridicità. Ma in America il diritto ad esprimere il proprio pensiero è cosa su cui non si scherza, anche se si insulta, come fa Giuliani, di cui in futuro, tra le altre tante cose, resterà l'immagine delle gote striate da lunghe macchie nere, colate dalla tintura con cui inonda i (pochi). E' accaduto nel corso di una conferenza stampa in cui, sudatissimo, ha urlato, imprecato, ululato. Il copione di sempre, insomma.

Il mancato avvio della delicata fase della transizione (in sostanza, il primo atto dell'Amministrazione che subentra e che non può non avere l'aiuto di quella che lascia) è solo uno dei bocconi avvelenati che Trump vuole riservare a Biden. Perché ce ne sono altri, non meno pericolosi. Già la decisione - che ha colto di sorpresa la stessa Nato - di alleggerire, prima dell'insediamento di Biden, la presenza militare americana in uno scacchiere delicatissimo come quello di Iraq ed Afghanistan è sembrata una occasione ghiotta per mettere il difficoltà il suo successore.
Poi, nelle ultime ore, ci ha pensato il segretario di Stato, Mike Pompeo, a rendere ancora più evidente questa scelta, che ha come finalità quella di determinare, per l'Amministrazione Biden, frizioni soprattutto con gli alleati o su tavoli di confronto aperti.

L'occasione è stato il suo giro in Medio Oriente il cui scopo poco o nulla ha di politico, se non quello di seminare odio. Perché Pompeo, per fare gongolare Netanyahu, ha, per la prima volta nella storia, fatto una visita in una colonia israeliana sulle alture del Golan, conquistate dopo la Guerra dei sei giorni, ma ancora formalmente in territorio siriano.
Mossa che ha unito, in un'unica protesta, tutti i "non israeliani", convinti che si sia trattato di una provocazione volutamente inserita nel difficilissimo percorso di una pace che, nella regione, continua ad essere un sogno, quasi un'utopia.

Prendere decisioni importanti è nelle competenze di una Amministrazione in carica, lo è meno per una che, tra meno di due mesi, non ci sarà più. Ma quel che si fa oggi non può essere cancellato se non dopo avere preso possesso delle leve del potere ed averle attivate per porre rimedio al danno lasciato dal precedente inquilino della Casa Bianca.
Ed è già tanto se, uscendo dallo Studio Ovale, mentre Giuliani si occupa di portare via gli scatoloni, Donald Trump non cambi le serrature e si porti via le chiavi.
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