Tasse, CGIA: oggi scatta il "giorno di liberazione fiscale"

- di: Redazione
 

Quello appena trascorso è stato l’ultimo fine settimana dell’anno in cui gli italiani sono stati chiamati a lavorare per il fisco. Da oggi, infatti, scatta il cosiddetto “giorno di liberazione fiscale”: una scadenza che da almeno quattro lustri, grazie all’annuale elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della CGIA, per molti italiani è il raggiungimento di un traguardo importante, anche se puramente simbolico. Siano essi partite Iva, lavoratori dipendenti, pensionati o imprese. In linea meramente teorica, pertanto, da oggi lavoreremo per soddisfare i nostri bisogni e non più per pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali previsti nel 2024. Un gettito che per l’erario dovrebbe garantire 909,7 miliardi di euro.

Tasse, CGIA: oggi scatta il "giorno di liberazione fiscale"

Risorse che sono indispensabili allo Stato per far funzionare le scuole, gli ospedali, i bus, i treni, gli uffici pubblici e per pagare le pensioni, gli stipendi agli statali e ai dipendenti degli enti locali. In altre parole, sono soldi che le Amministrazioni pubbliche prima incassano, poi investono nei servizi, nel welfare, nelle infrastrutture sociali ed economiche per migliorare la qualità della vita di ognuno di noi. Per non essere fraintesi è bene evidenziarlo con forza: ancorché “il giorno di liberazione fiscale” non costituisca un principio assoluto, questo esercizio dimostra empiricamente quanto sia eccessivo il carico fiscale che continua a gravare sugli italiani. Sebbene quest’anno la pressione fiscale sia destinata a scendere di 0,4 punti percentuali rispetto al 2023. E grazie a questa contrazione, oggi gli italiani potranno festeggiare il “tax freedom day”; insomma, se dall’inizio di gennaio abbiamo ipoteticamente lavorato per onorare le richieste del fisco, da oggi fino al 31 dicembre, invece, lo faremo per noi stessi e per le nostre famiglie. Da questo caso di scuola elaborato dall’Ufficio studi della CGIA, emerge che per l’anno in corso sono stati necessari ben 154 giorni di lavoro (sabati e domeniche inclusi) per adempiere a tutti i versamenti fiscali previsti quest’anno (Irpef, Imu, Iva, Irap, Ires, addizionali varie, contributi previdenziali/assicurativi, etc.). Rispetto al 2023, quest’anno ci “liberiamo” dal fisco un giorno prima, anche se da calendario sono due, poiché il 2024 è un anno bisestile. 

Ma come ha fatto l’Ufficio studi della CGIA a stabilire che il 3 giugno è il tax freedom day del 2024? La stima del Pil nazionale prevista quest’anno è di 2.163 miliardi di euro ed è stata suddivisa per 366 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero pari a 5,9 miliardi di euro. Di seguito, sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle entrate e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno allo Stato che ammonteranno a 909,7 miliardi di euro. Pertanto, questo ultimo importo è stato rapportato al Pil giornaliero, ottenendo così il giorno di liberazione fiscale del 2024 che scatta dopo 154 giorni dall’inizio dell’anno, ovvero il 3 giugno. Come dicevamo è un puro esercizio teorico che, comunque, ci consente di determinare, con una unità di misura non “convenzionale”, il carico fiscale in capo ai contribuenti di un Paese qualsiasi.

Se per coloro che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo il “tax freedom day” è una scadenza idealmente da festeggiare, per chi, invece, non le paga o lo fa solo sporadicamente è, ovviamente, un giorno come un altro. In questo ultimo caso annoveriamo, ad esempio, i lavoratori completamente o parzialmente irregolari presenti in Italia che, secondo una stima dell’Istat riferita al 2021, ammontano ad almeno 2,8 milioni. Sono persone completamente sconosciute al fisco o che, sebbene parzialmente in regola, omettono di versare una parte delle imposte e dei contributi previdenziali, violando così le norme fiscali e contributive. 

In termini assoluti le regioni che ne contano di più sono quelle maggiormente popolate: la Lombardia con 439.500 unità irregolari, il Lazio con 366.200 e la Campania con 308.200 sono le realtà territoriali dove il “nero” abbonda maggiormente. Se, invece, facciamo riferimento al tasso di irregolarità, le regioni del Mezzogiorno sono quelle più interessate da questa piaga economica/sociale. La Calabria, ad esempio, presenta una quota del 19,6 per cento, la Campania del 16,5, la Sicilia del 16 e la Puglia del 14,4. La media italiana si attesta sull’11,3 per cento. Secondo quanto riportato nel Documento di Economia e Finanza, la pressione fiscale nel 2024 è stimata al 42,1 per cento del Pil, in diminuzione di 0,4 punti rispetto alla soglia toccata nel 2023. Questo risultato è ascrivibile al fatto che il Pil nominale è destinato a crescere (+3,7 per cento) più velocemente dell’incremento del gettito fiscale (+2,6 per cento). Pertanto, la pressione fiscale è attesa in diminuzione. Si ricorda, infatti, che la stessa è data dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil nominale. L’incremento del gettito del 2,6 per cento rispetto al 2023 dipende da una pluralità di fattori: il primo è legato alla crescita economica (+1 per cento circa nel 2024); il secondo alla crescita delle retribuzioni, grazie ai rinnovi contrattuali, alla corresponsione degli arretrati nel pubblico impiego e all’aumento dell’occupazione. Più contenuto, invece, è l’impatto sulle entrate riconducibile agli inasprimenti fiscali previsti per quest’anno, come la maggiore tassazione sui tabacchi, l’incremento dell’Iva su alcuni prodotti per l’infanzia, l’igiene femminile e alle riaperture dei termini per la rivalutazione e il pagamento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni.

Infine, hanno sicuramente condizionato il risultato finale anche le misure che nel 2024 hanno alleggerito il prelievo fiscale sugli italiani, come la riduzione dell’Irpef, tramite l’eliminazione del secondo scaglione di reddito (minor prelievo pari a circa 4,2 miliardi di euro) e il “bonus mamme”, con l’esonero contributivo per le lavoratrici dipendenti con due figli. 

Dal 1995, l’anno in cui il “giorno di liberazione fiscale” è “scoccato” prima è stato il 2005. In quell’occasione, infatti, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “bastò” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, invece, si è registrato nel 2013, allorché la pressione fiscale raggiunse il record storico del 43,4 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” fu raggiunto l’8 giugno. Al netto dei contributi previdenziali, se analizziamo il gettito 2021 delle principali imposte versate in termini assoluti dai contribuenti di ciascuna regione scorgiamo che le più “pagatrici” sono la Lombardia con 87,9 miliardi di euro, il Lazio con 43,5, l’Emilia Romagna con 34,2 e il Veneto con 33,8. Ovviamente, questi risultati risentono del fatto che queste realtà sono tra le più popolate d’Italia, i livelli di reddito sono tra i più elevati del Paese e la presenza del sistema economico è concentrato proprio in questi territori. Continuiamo ad avere un livello di pressione fiscale tra i più elevati in UE. Nel 2023, infatti, solo la Francia, il Belgio, la Danimarca e l’Austria hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro. Se a Parigi la pressione fiscale era al 45,8 per cento del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,3 per cento, a Copenaghen al 44,5 per cento e a Vienna al 42,9 per cento. Da noi, invece, ha toccato la soglia del 42,5 per cento. Tra i 27 dell’UE, l’Italia si è “piazzata” al 5° posto. La Germania, invece, si è posizionata al 10° con una pressione fiscale del 40,6 per cento e la Spagna al 13° con il 37,8 per cento. La media dei Paesi europei è stata del 40,3 per cento; 2,2 punti in meno della media italiana.

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