Meno rigidità sull’ultima curva, più pressione sulle aziende: la Commissione ricalibra il traguardo 2035 e prova a far ripartire la domanda “pulita” dalle flotte corporate, con incentivi mirati e nuove regole paese per paese.
(Foto: riunione della Commissione europea).
La svolta di Bruxelles: 2035 meno “tutto o niente”, ma con un conto da pagare
La linea che sta emergendo da Bruxelles ha un messaggio semplice: l’Europa non rinuncia alla decarbonizzazione dell’auto, ma ridisegna il percorso.
Nelle ricostruzioni circolate oggi, 16 dicembre 2025, la Commissione mette sul tavolo una revisione che, invece del “100% zero emissioni” per le nuove auto al 2035, si sposta su un taglio del 90%.
Il restante margine verrebbe “compensato” con strumenti legati alla filiera e ai carburanti a minore impronta climatica: in pratica, una parte della conformità non arriverebbe solo dallo scarico, ma anche da materiali più puliti e combustibili low-carbon.
È un cambio di registro che nasce da pressioni industriali e politiche e da un mercato dell’elettrico più irregolare del previsto.
Secondo le sintesi pubblicate oggi da Reuters, il perimetro di ciò che potrebbe rientrare nel “non totalmente elettrico” include ibridi plug-in, soluzioni con range extender e l’uso di e-fuels o biocarburanti in alcune configurazioni.
La logica è guadagnare tempo senza dichiarare un passo indietro totale.
Ma attenzione: anche quando la meta si “ammorbidisce”, la Commissione prova a evitare l’effetto elastico (“rinvio e basta”).
Qui entrano in scena due leve: compensazioni di filiera (con acciaio a basse emissioni come parola chiave) e domanda obbligata (con le flotte aziendali come motore).
Perché le flotte aziendali sono il bersaglio preferito
La ragione è aritmetica, prima ancora che politica. Le auto e i furgoni comprati, noleggiati o gestiti dalle imprese pesano tantissimo sul mercato:
nella Ue, le immatricolazioni “aziendali” valgono circa il 60% del totale auto e circa il 90% dei furgoni.
È la fotografia che circola negli ambienti di Bruxelles e che, nella sostanza, spiega la strategia: se vuoi spostare il mercato in fretta, spingi dove si compra di più.
C’è poi un secondo effetto, meno visibile ma decisivo: i veicoli aziendali percorrono mediamente più chilometri delle auto private e vengono sostituiti prima,
finendo più rapidamente nel mercato dell’usato. Tradotto: se le flotte si “pulisono”, aumenta la disponibilità di modelli a zero o basse emissioni anche per chi compra di seconda mano.
La proposta sulle grandi aziende: quote dal 2030 e obiettivi distinti per lo zero emissioni
La Commissione punta a un regolamento che obbliga gli Stati membri a far sì che, a partire dal 2030, una quota definita delle nuove immatricolazioni di auto e furgoni aziendali effettuate da grandi imprese sia composta da veicoli a zero o basse emissioni.
I dettagli numerici, nella struttura descritta dalle sintesi di settore, sarebbero calibrati per paese in base alla maturità del mercato e alle condizioni nazionali.
Un punto chiave è l’architettura “a due piani”: alla quota minima di veicoli a zero o basse emissioni si affianca un sotto-obiettivo specifico dedicato ai veicoli a zero emissioni,
per evitare che l’intero sforzo si concentri su tecnologie intermedie.
Sul piano operativo, gli Stati dovrebbero comunicare a Bruxelles il totale dei veicoli aziendali immatricolati dalle grandi aziende e la relativa quota “pulita”,
con reporting separato per auto e furgoni.
Incentivi: la stretta che fa discutere
Il capitolo più politico è quello degli incentivi. Nella cornice descritta il principio è netto: gli Stati membri non dovrebbero sostenere con incentivi pubblici
acquisto, leasing, noleggio, rateizzazione o gestione di veicoli aziendali che non siano a basse o zero emissioni e, soprattutto, prodotti nella Ue.
L’obiettivo dichiarato è doppio: accelerare la transizione e allo stesso tempo blindare la competitività industriale europea.
È un’impostazione che risuona con quanto riportato da più osservatori il 16 dicembre 2025: la Commissione cerca un equilibrio tra clima e industria in un contesto di concorrenza feroce, in particolare sul fronte dei veicoli elettrici a basso costo.
Acciaio “verde” e carburanti puliti: la logica della compensazione
Il punto più innovativo (e contestato) è l’idea che la flessibilità sul 2035 venga “pagata” attraverso la filiera.
Nelle ricostruzioni pubblicate il 16 dicembre 2025, emerge un meccanismo in cui una parte del risultato climatico verrebbe assicurata usando
acciaio a minore impronta carbonica e, in parallelo, carburanti a basse emissioni (come biocarburanti avanzati o e-fuels, a seconda delle definizioni che verranno adottate).
La ratio è semplice: se lasci in vita una frazione di motori non “zero” oltre la data simbolo,
allora devi ridurre altrove la CO₂ del ciclo produttivo e del consumo energetico.
Per l’industria significa spostare parte della partita su forniture, materiali e certificazioni:
una trasformazione che potrebbe ridisegnare contratti e catene del valore ben oltre l’automotive.
Il fronte dei furgoni e la flessibilità 2030-2032
Sul versante dei veicoli commerciali leggeri, diverse ricostruzioni convergono su un altro aggiustamento:
l’obiettivo di riduzione delle emissioni per i furgoni al 2030 verrebbe portato al 40% (dal 50% discusso in precedenza).
Inoltre, per i costruttori, si parla di una conformità calcolabile come media su più anni (ad esempio su un orizzonte 2030-2032),
così da evitare che un singolo anno “storto” produca sanzioni eccessive.
La logica è la stessa: più respiro nel breve, ma con una spinta strutturale sulla domanda (soprattutto corporate) per non svuotare di senso la traiettoria climatica.
Reazioni: industria sollevata, ambientalisti sul piede di guerra
Nel racconto pubblico delle ultime ore il clima è polarizzato.
Da un lato i costruttori e le filiere chiedono tempo, regole “praticabili” e strumenti per competere.
Dall’altro, chi difende l’impianto originario del Green Deal vede nella revisione un segnale pericoloso: meno certezza sugli investimenti,
più spazio a soluzioni di transizione, rischio di rallentare l’elettrificazione.
Anche sul piano politico, il dossier si muove tra capitali che spingono per salvare margini all’industria e chi teme un arretramento climatico.
Il risultato, come spesso accade a Bruxelles, sarà probabilmente una legge finale figlia di compromessi, emendamenti e contropartite.
Cosa cambia davvero per imprese e automobilisti
- Per le grandi aziende: più obblighi nella composizione delle flotte e più reporting; chi gestisce grandi volumi diventa il perno della transizione.
- Per i costruttori: domanda più “garantita” sullo zero e low emission, ma anche vincoli su filiera e contenuto europeo quando entrano in gioco incentivi pubblici.
- Per chi compra usato: se le flotte si elettrificano davvero, nel medio periodo cresce l’offerta di veicoli a prezzi più accessibili (e l’infrastruttura diventa il vero collo di bottiglia).
- Per gli Stati: obiettivi differenziati e un lavoro amministrativo più pesante, oltre al tema delicato di come disegnare incentivi coerenti con il “solo pulito, solo Ue”.
Il calendario politico: il testo non è l’ultima parola
La proposta della Commissione è l’inizio, non la fine: passerà attraverso Parlamento e Consiglio, con governi e gruppi politici pronti a riscrivere dettagli cruciali
(definizioni di “basse emissioni”, modalità delle compensazioni, soglie per definire “grande impresa”, meccanismi di controllo).
È lì che si capirà se la “frenata” sul 2035 è un aggiustamento tecnico o un vero cambio di rotta.