Funivia Stresa-Mottarone: davanti all'orrore, la solitudine del magistrato

- di: Diego Minuti
 
La tragedia di Stresa non è che l'ultima in ordine di tempo per questo disgraziato Paese. Per alcune si porta a scusante la mai vinta battaglia contro la Natura, come se una inondazione non sia conseguenza dello scriteriato ''modus'' al quale abbiamo deciso di informare i nostri comportamenti, sia come parte di una comunità che come singoli soggetti.
Ma quanto accaduto alla funivia che portava delle persone - non dei numeri o biglietti staccati, persone! - pone degli interrogativi che nascono dalle ammissioni dei tre indagati ed arrestati (il gestore dell'impianto e due tecnici) che hanno detto che la scelta di rimuovere il pezzo dell'impianto che avrebbe garantito l'attivazione automatica del freno d'emergenza è stata una presa per evitare, col blocco temporaneo dell'impianto, un calo degli incassi.

Ma quanti milioni di biglietti occorrerà vendere per risarcire non economicamente, ma in termini di dolore, le famiglie di chi non c'è più?
Quanti biglietti saranno necessari per saziare la fame di affetto e di amore che, non appena avrà capito quanto è accaduto, aggredirà il piccolo Eitan per gran parte della sua vita, al netto delle ferite che oggi percorrono il suo corpicino?
Se le ammissioni, fatte sotto il peso della presa di consapevolezza delle responsabilità, saranno confermate più avanti, quando magari si renderanno conto di dovere adottare una linea di difesa praticabile, toccherà poi a un magistrato decidere cosa di cosa accusare i tre e quello della qualificazione dell'accusa è uno dei momenti più difficili per chi indossa una toga rappresentando la Giustizia perché, anche se assume delle decisioni collegiali, è sempre solo nel momento delle decisioni.

Quanto accaduto non può che generare orrore e sgomento, perché chi ha fatto quel che ha fatto conosceva benissimo, trattandosi di tecnici, i rischi che si correvano e che poi sono diventati tragica realtà. Ma l'umanità presiede alle nostre attività, quali che siano i compiti che svolgiamo in seno ad una comunità di uomini e donne, e da essa non possono essere esentati i magistrati che vegliano sulle nostre libertà, che sono quelle del nostro vivere quotidiano, ma anche il nostro diritto a condurlo senza che esso sia abusato da altri.

Quattordici - se accostato a morti per cause estranee alla loro volontà - è di per sé un numero che non si può commentare, e lo diventa ancora di più se a generarlo è stata l'avidità.
Volendo, non dovrebbe essere difficile quantificare quanto questa aberrazione della mente ha reso: basta contare i biglietti staccati.
Di quanto parliamo? Forse si tratta di poche migliaia di euro.
Ne valeva la pena? Bisognerebbe che, su un nastro registrato, questa frase fosse fatta sentire ad ogni istante del giorno e della notte ai tre rei confessi, sempre che abbiano la sensibilità di comprendere e pentirsi.

Chissà quanti sono gli interrogativi che si stanno ponendo i magistrati di Verbania e dai quali prenderà abbrivio un procedimento per il quale, viste le evidenze e le ammissioni, ci si auspica una strada breve. Cosa che non accadrà, perché la sarabanda di perizie e controperizie, condita di istanze e memorie, si svilupperà nel tempo, come il più aggrovigliato dei gomitoli.
Sino a che punto - ci chiediamo - la ammessa consapevolezza, da parte degli indagati, dei rischi che si stavano correndo può spingere alla corretta definizione di accuse che devono tenere conto di molte cose, che non possono prescindere dall'accertamento dei cosiddetti fatti di causa?

Ma la qualificazione delle accuse, oltre ai diretti interessati, questa volta interessa tutti noi perché questa vicenda è talmente ''brutta'', mischiando la cupidigia di singoli al benessere degli altri, che non può rischiare di appannarsi per il trascorrere lento e routinario di una indagine. Ecco, sono cose come queste che spingono tutti a pretendere che la Giustizia abbia tempi più brevi.
Lo chiedono le famiglie delle vittime, lo chiede la comunità di Stresa (che si sente sfregiata per colpe che non le appartengono), lo chiede - inconsciamente - il piccolo Eitan che non può certo restare ostaggio per i prossimi anni di una Giustizia che non sa rispondere in fretta a quello che da essa si pretende.
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