Roma tenta di restituire fiato ai suoi piccoli teatri, quelli con meno di cento posti, spesso nati in scantinati riconvertiti, in ex magazzini, nei cortili dei palazzi del centro o nelle periferie. Il Comune di Roma ha pubblicato un bando da 600 mila euro, rivolto a chi, tra compagnie indipendenti e associazioni culturali, tiene in vita una parte preziosa ma fragile della scena cittadina.
Il contributo, che può arrivare fino a 30 mila euro per progetto, coprirà fino al 90% delle spese ammissibili: una cifra non risolutiva, ma capace di fare la differenza tra la chiusura e la sopravvivenza.
Roma, i piccoli teatri tra cultura e sopravvivenza. Il bando che prova a salvarli
Il messaggio politico è chiaro: la cultura non può essere trattata come un lusso. È un settore produttivo a tutti gli effetti, con una filiera economica fatta di tecnici, attori, scenografi, fornitori e pubblico. Ogni piccolo teatro che chiude è un pezzo di Pil culturale che si perde.
L’economia della scena
Il bando si articola in due aree — spettacolo dal vivo e formazione — e nasce con un intento economico preciso: ridurre la fragilità strutturale del comparto culturale romano, colpito da costi crescenti e ricavi sempre più incerti.
Chi lavora in queste sale sa che il margine tra entusiasmo e bancarotta è sottile. L’affitto di uno spazio, le spese per la sicurezza, la luce, la Siae: tutto incide, mentre il prezzo medio di un biglietto raramente supera i dieci euro.
Roma non finanzia la creatività per sola generosità estetica, ma perché riconosce che la cultura è una microeconomia diffusa, capace di generare reddito, formazione e coesione sociale. Ogni stagione teatrale attiva forniture, affitti, promozione, turismo di prossimità.
In ritardo sull’Europa
Eppure, se si guarda oltre il Tevere, Roma arriva in ritardo rispetto alle altre capitali europee. A Parigi, il Comune destina ogni anno oltre 25 milioni di euro ai piccoli teatri e alle compagnie indipendenti, garantendo contributi pluriennali e agevolazioni fiscali. A Berlino, l’amministrazione finanzia con fondi stabili gli “independent venues”, considerandoli un’infrastruttura civica, e non una spesa discrezionale.
Persino Madrid, dopo la crisi pandemica, ha lanciato un piano da 3 milioni per sostenere i micro-teatri che lavorano con pubblico ridotto ma ad alto tasso di innovazione.
Roma, al confronto, appare come una città che riconosce tardi e con risorse limitate il valore economico della cultura. Ma la direzione è giusta: il nuovo bando rappresenta un primo passo verso un modello europeo, in cui la cultura non è sussidiata, ma sostenuta come impresa.
Il valore di restare accesi
Dietro ogni piccolo teatro romano ci sono storie di resistenza. Attori che insegnano di giorno e provano di notte, direttori artistici che fanno anche da elettricisti, giovani registi che trasformano laboratori in palcoscenici. Sono aziende culturali con bilanci minuscoli e un impatto invisibile ma reale: riempiono i vuoti delle periferie, creano occasioni di formazione, mantengono vivo un tessuto sociale che altrove si è sfilacciato.
Il Comune, sostenendo queste realtà, investe nel capitale umano e nel potenziale di rigenerazione urbana. Ogni contributo assegnato diventa un moltiplicatore: un laboratorio aperto, un corso di teatro per ragazzi, una nuova stagione che si fa con poco ma parla a molti.
Tra bilanci e visioni
Il teatro, in fondo, è anche economia politica. E Roma, con questo bando, prova a dirlo: serve denaro per mantenere accesa la luce del palcoscenico. Non basta l’ispirazione. Servono risorse, strumenti, riconoscimento.
Il rischio, altrimenti, è che i piccoli teatri continuino a vivere nell’intermittenza, sopravvivendo grazie al volontariato e ai sacrifici personali, mentre le capitali europee consolidano i loro distretti culturali come veri poli economici.
Il provvedimento del Campidoglio non cambierà tutto, ma introduce una mentalità nuova: la cultura come leva economica e sociale. Roma, città dai grandi teatri e dai piccoli miracoli quotidiani, prova a tenere insieme bellezza e bilancio, idealismo e sostenibilità.
E se questa volta riuscirà a farlo, forse anche i suoi piccoli teatri potranno smettere di essere un problema da aiutare e tornare a essere un motore che produce valore.