L'incubo della quarantena sulle vacanze di Natale all'estero

- di: Redazione
 
Quarantena è una di quelle parole di cui (speriamo molto presto) perderemo il ricordo perché, al netto delle preoccupazioni per la salute pubblica per le quali viene adottata, si traduce in un confinamento che limita, restringe, sigilla il perimetro della libertà personale. Non è, per come è giusto che sia, un giudizio generale perché c'è gente che, cristianamente, accetta.

Ma forse qualche riflessione il concetto di quarantena la merita, almeno per come la si sta attuando in questi terribili mesi. Prendiamo, ad esempio, le misure che sarebbero allo studio del governo per evitare che le nostre frontiere siano troppo permeabili davanti al pericolo di un contagio di importazione, di quello portato nei nostri confini da persone - non solo italiani, quindi - che vengono dall'estero e, quindi, potenziali "untori", veicoli inconsapevoli del virus.

L'idea che si sta facendo con prepotenza strada, dalle parti di Palazzo Chigi, è quella di imporre una quarantena per chi viene da alcuni Paesi, dove ha trascorso le vacanze di fine anno.
Una quarantena di due settimane che, oggettivamente, più che una misura di prevenzione sembra invece un modo per scoraggiare i viaggi oltre confine per chi ha tempo e soldi per trascorrere gli ultimi giorni di questo sventurato 2020 sulla neve o al caldo di spiagge caraibiche.

C'è da chiedersi chi, sapendo di dovere restare per due settimane chiuso in casa al suo rientro in Italia, avrà comunque voglia di fare e vacanze all'estero. Lo possono fare certi (non tutti) professionisti, che magari hanno uno studio che può lavorare per loro; lo possono fare i pensionati che non hanno più l'obbligo di andare a lavoro. Ma gli altri? Chi si può permettere di non lavorare per almeno tre settimane (una in vacanza e due in quarantena)?

La lista dei Paesi verso i quali si nutre il timore di essere focolai di ulteriori contagi è già corposa. Ne fanno parte il Belgio, la Repubblica Ceca, la Francia, i Paesi Bassi e il Regno Unito. Ma questo elenco - redatto sulla base dell'ordinanza del ministro della Salute, Speranza - potrebbe ulteriormente allungarsi per comprendere i Paesi europei che non accetteranno l'accordo di chiudere piste da sci ed impianti almeno fino a gennaio.
Paesi tra i quali ci sarebbero anche Svizzera ed Austria.

Prendiamo la Svizzera. Attualmente è il solo Paese che ha deciso di liberalizzare l'accesso alle piste, nella consapevolezza che le sue sono tra le più ambite dal popolo degli sciatori: Verbier, Crans Montana, Andermatt, Davos e Zermatt. Località che vedono sempre una forte presenza di turisti italiani, che quest'anno però ci penseranno due volte prima di mettersi in macchina diretti al confine svizzero.

Questo scenario è però abbastanza fluido perché il rischio che si corre è quello di vedere gli sciatori di casa nostra dirigersi in massa, ad esempio, verso la Slovenia, soprattutto verso Kranjska Gora, che, presa d'assalto da migliaia e migliaia di appassionati delle neve rischia di diventare anch'essa un focolaio e, quindi, un pericolo per i Paesi di provenienza dei turisti che l'hanno scelta.
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