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Regionali 2025, Veneto al centrodestra e Sud al centrosinistra

- di: Bruno Coletta
 
Regionali 2025, Veneto al centrodestra e Sud al centrosinistra
Mappe politiche ferme, ma il vero terremoto è l’astensione che diventa primo partito e trasforma un test locale in un segnale nazionale.

Alla fine della lunga maratona elettorale di Veneto, Campania e Puglia, il verdetto è chiaro: la geografia politica non si sposta di un millimetro. Il Veneto resta saldamente al centrodestra con Alberto Stefani, mentre Campania e Puglia confermano il centrosinistra con Roberto Fico e Antonio Decaro. A cambiare, però, sono i numeri sotto traccia: una affluenza crollata intorno al 43,6% e un astensionismo che diventa il vero protagonista della tornata.

Secondo i dati diffusi nel tardo pomeriggio del 24 novembre 2025 dal Viminale e ripresi dai principali media nazionali, la partecipazione si è fermata al 43,64%, quasi 14 punti in meno rispetto alle precedenti regionali. In Veneto ha votato poco più del 44%, in Campania il 44,05%, in Puglia appena il 41,8%. Un segnale che pesa più delle percentuali dei vincitori.

Una mappa politica che non si muove

La fotografia finale è quella di un’Italia che si conferma spaccata per blocchi: Nord-Est a trazione centrodestra, Sud consegnato al centrosinistra allargato. In Veneto il leghista Alberto Stefani supera di slancio il 60% dei voti, come indicano le proiezioni Opinio Italia per la Rai e gli aggiornamenti di giornata, doppiando il candidato del centrosinistra Giovanni Manildo fermo intorno al 30%. In Campania, il “campo largo” guidato da Roberto Fico si attesta poco sotto il 60%, lasciando il candidato del centrodestra Edmondo Cirielli attorno al 35%. In Puglia, Antonio Decaro viaggia oltre il 65%, mentre Luigi Lobuono per il centrodestra si aggira poco sopra il 30%.

La novità, dunque, non è chi governerà queste regioni, ma quanto è ristretto il perimetro di chi continua a presentarsi alle urne. E su questo dato si innesta lo scontro politico nazionale.

Il Veneto del dopo Zaia e il derby nella destra

In Veneto si chiude l’era di Luca Zaia dopo quindici anni di governo, ma non tramonta l’egemonia del centrodestra. Stefani, ex vicesegretario della Lega, viene accreditato di un risultato attorno al 60%: un passaggio di consegne morbido, in cui la Lega resta primo partito regionale con circa il 36%, davanti a Fratelli d’Italia e Partito democratico, come indicano le proiezioni Opinio-Rai di inizio serata.

Lo stesso Zaia, parlando dalla sede della Liga Veneta a Treviso, ha insistito sulla continuità istituzionale, spiegando che resterà in consiglio regionale. In conferenza stampa ha rivendicato la lunga stagione al vertice della Regione, sottolineando che i veneti lo hanno considerato affidabile per oltre quindici anni e che questo risultato non arriva per caso.

Per Fratelli d’Italia, che puntava al sorpasso sulla Lega nel cuore del Nord-Est, la serata è meno trionfale di quanto ci si aspettasse. Il partito della premier incassa un buon risultato, ma non sfonda. È qui che si innesta il messaggio ribadito dai dirigenti di FdI a livello nazionale: il voto viene definito “locale”, da non leggere come un giudizio diretto sul governo, nel tentativo di congela­re la narrazione del test su Palazzo Chigi.

Puglia, il trionfo di Decaro con il partito del non voto

In Puglia il successo di Antonio Decaro è numericamente impressionante: le proiezioni per la Rai e i dati diffusi nel corso del pomeriggio disegnano un governatore oltre il 65%, con una distanza di circa trenta punti dal centrodestra. Le liste che lo sostengono spingono il Pd al primo posto intorno al 26-27%, davanti a Fratelli d’Italia e alle civiche legate al presidente.

Nel suo comitato elettorale, a Bari, Decaro ha definito il risultato “straordinario” e ha promesso di mettersi subito al lavoro, aggiungendo che dovrà meritare la fiducia “di chi lo ha votato e di chi ha scelto di non votare”. Il nuovo governatore ha messo al centro un tema che attraversa tutta la giornata: l’astensionismo come sintomo di una politica che non riesce a parlare alle fasce più fragili e disilluse.

Dall’altra parte, lo stesso Luigi Lobuono ha riconosciuto pubblicamente la sconfitta, augurando buon lavoro al rivale e ammettendo che la campagna del centrodestra è partita tardi e in salita. Nei commenti raccolti nel quartier generale del centrodestra pugliese si sottolinea il “limite nazionale” di una coalizione che arriva alle candidature spesso a ridosso del voto, costretta a inseguire, più che a dettare l’agenda.

Campania, il laboratorio Fico tra Schlein e Conte

In Campania il voto chiude il decennio targato Vincenzo De Luca e apre il capitolo di Roberto Fico, ex presidente della Camera, sostenuto da un’ampia coalizione che va dal Pd al Movimento 5 Stelle fino alle liste civiche legate all’area del vecchio governatore. Le proiezioni Opinio-Rai lo collocano poco sotto il 60%, con Cirielli fermo attorno al 35%.

Dal comitato di Napoli, Fico ha indicato la rotta del suo mandato, mettendo al centro lavoro e lotta alle disuguaglianze. Ha parlato di un ruolo “centrale” di Napoli come motore di crescita per il resto della regione e ha insistito sulla necessità di creare occupazione qualificata, in collegamento con università e imprese.

La Campania diventa subito un palcoscenico nazionale. Elly Schlein e Giuseppe Conte si presentano entrambi nel capoluogo per intestarsi il risultato. La segretaria del Pd, parlando al fianco del nuovo governatore, usa un messaggio molto netto: “L’alternativa c’è ed è competitiva, il riscatto parte dal Sud e la partita delle prossime politiche è apertissima”. La formula che le sta più a cuore è una: “uniti si stravince”.

Giuseppe Conte, dal canto suo, celebra la “doppietta” di governatori ottenuta in due anni grazie al sostegno pentastellato, riassumendo il messaggio al centrodestra con una frase che ha subito fatto il giro dei social: “Non saltellano più”. Un modo tagliente per dire che, almeno per una notte, il vento politico non soffia tutto dalla parte del governo.

Meloni rivendica il Veneto, l’opposizione sogna il 2027

Palazzo Chigi sceglie toni misurati, ma la premier non rinuncia a rivendicare il successo nel Nord-Est. In un messaggio diffuso sui social, Giorgia Meloni sottolinea che la vittoria di Stefani in Veneto è il frutto di “lavoro, credibilità e serietà” della coalizione di governo, e accompagna i complimenti al nuovo presidente con un augurio per le sfide che lo attendono. Nello stesso post, la presidente del Consiglio invia un messaggio di congratulazioni anche ad Antonio Decaro e Roberto Fico, riconoscendone il mandato nelle rispettive regioni.

Nel campo avversario, Schlein insiste sull’idea che il centrosinistra unito può battere la destra anche su base nazionale, affermando che la serata dimostra come, dove si costruisce un “campo largo” stabile, il margine diventa amplissimo. La leader dem arriva perfino a pescare nel repertorio di Pino Daniele, spiegando da Napoli che “l’aria s’adda cagnà”: il clima politico, secondo lei, non è affatto congelato a favore del governo.

In mezzo, i centristi e i riformisti provano a ritagliarsi un racconto diverso: c’è chi, come Matteo Renzi, sottolinea che la premier non è “invincibile” se dall’altra parte c’è una proposta unitaria e riconoscibile, e chi legge i numeri come un avviso ai naviganti per il 2027.

Astensione primo partito: il segnale che brucia ai partiti

Oltre i brindisi e le conferenze stampa, resta un numero: meno di un elettore su due ha scelto di entrare in cabina. L’astensione si consolida come primo partito d’Italia, soprattutto nelle periferie urbane, tra i giovani e nelle fasce più colpite dall’inflazione e dalla precarietà. In Puglia quasi il 60% degli aventi diritto è rimasto a casa, in Campania e Veneto la metà dell’elettorato ha disertato i seggi.

Gli studi sui flussi elettorali indicano da tempo che chi vota meno è spesso chi ha di più da perdere: precari, disoccupati, lavoratori a basso reddito. Il risultato delle regionali 2025 conferma questa tendenza e lancia un messaggio scomodo a tutti: governare con il 60-65% dei voti espressi, ma con meno della metà dei cittadini alle urne, significa guidare regioni dove una larga maggioranza osserva da bordo campo.

Cosa resta dopo il test del 2025

Il giorno dopo il voto, ogni leader prova a intestarsi la vittoria: il centrodestra rivendica il Veneto, il centrosinistra si tiene strette Campania e Puglia, il Movimento 5 Stelle festeggia la presidenza Fico. Ma il bilancio più onesto è un altro: i blocchi restano, il Paese cambia sotto i loro piedi.

Se queste regionali fossero state davvero una “prova generale” delle politiche, il copione direbbe che i rapporti di forza restano aperti, che il Sud può diventare il vero campo di gioco e che la destra, pur salda al Nord, deve misurarsi con un’erosione di entusiasmo. Ma aggiungerebbe anche una nota finale: senza una risposta concreta alla crisi di fiducia, alle disuguaglianze e all’insicurezza sociale, il prossimo protagonista delle urne non sarà né la destra né la sinistra. Sarà, ancora una volta, il silenzio di chi non vota.

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