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Meloni chiude il caso Garofani: “Con Mattarella tutto chiarito”

- di: Vittorio Massi
 
Meloni chiude il caso Garofani: “Con Mattarella tutto chiarito”
Meloni chiude il caso Garofani: “Con Mattarella tutto chiarito”
Dal G20 di Johannesburg la premier archivia la polemica sul consigliere del Quirinale e rivendica piena sintonia con il Colle, mentre le opposizioni accusano il governo di montare “distrazioni di massa” per coprire salari fermi, sanità in affanno e industria in frenata.

(Foto: il presidente Mattarella con la premier Meloni. Sullo sfondo, a destra del ministro Crosetto, Francesco Saverio Garofani).

La notizia, alla fine, è semplice quanto politica: per Giorgia Meloni il caso Garofani è chiuso. Dal palco della conferenza stampa conclusiva del G20 di Johannesburg, la presidente del Consiglio mette il sigillo su una polemica che, nel giro di pochi giorni, ha lambito il Quirinale, agitato il centrodestra e offerto all’opposizione l’occasione per parlare di “distrazione di massa”. Il messaggio che parte dal Sudafrica è chiaro: nessuno scontro aperto con Sergio Mattarella, rapporto definito “ottimo” e una vicenda che, almeno per Palazzo Chigi, non merita altre repliche.

Allo stesso tempo, nell’arena politica italiana resta l’eco di una sequenza che ha visto protagonista Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica per le questioni legate al Consiglio Supremo di Difesa, finito al centro di ricostruzioni giornalistiche su conversazioni critiche verso il governo. Da lì la nota di un capogruppo di maggioranza, la risposta durissima del Colle, un faccia a faccia riservato tra premier e capo dello Stato e, infine, la frase che ambisce a chiudere il capitolo.

Un consigliere del Colle al centro della bufera

La miccia si accende quando un quotidiano nazionale racconta di una cena nella quale Garofani avrebbe usato parole pesanti sulla tenuta del governo e sulle prospettive della maggioranza guidata da Giorgia Meloni. Una conversazione descritta come carica di giudizi politici e scenari inquieti, che viene subito letta da una parte del centrodestra come un segnale di ostilità proveniente dall’entourage del Quirinale.

Il diretto interessato, secondo quanto trapela da ambienti istituzionali, si dice “profondamente amareggiato” per il modo in cui una chiacchierata in un contesto informale è stata trasformata in un dossier politico. Garofani rivendica la propria storia di servitore delle istituzioni e la lealtà nei confronti del presidente della Repubblica, ricordando di aver sempre mantenuto il profilo discreto che si richiede a un consigliere del Colle.

L’affondo di Bignami e il muro del Quirinale

La vicenda esce dai retroscena quando Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, decide di intervenire con una nota ufficiale. Facendo riferimento alle ricostruzioni apparse sulla stampa, chiede che le frasi attribuite a Garofani vengano chiarite, lasciando intendere che un consigliere del Quirinale non possa permettersi giudizi così tranchant sul governo in carica.

La replica che arriva dal Colle è insolitamente severa. La presidenza della Repubblica fa filtrare che quella presa di posizione si fonda su una costruzione mediatica infondata e che i toni usati nei confronti della massima istituzione di garanzia sconfinano, secondo le parole raccolte in ambienti quirinalizi, “nel ridicolo”. È il segnale che la pazienza del Colle ha un limite e che trascinare la presidenza in una polemica politico-giornalistica è considerato un passo di troppo.

Da quel momento, la discussione si allarga. Nella maggioranza c’è chi difende Bignami, sostenendo che si sia limitato a chiedere chiarezza. Dall’opposizione, invece, si parla di una “sortita irresponsabile” che punta a mettere sotto pressione il Quirinale. Intanto, le tensioni tra i palazzi diventano il vero tema, più delle presunte frasi pronunciate a cena.

Il faccia a faccia al Colle e i toni misurati

Per disinnescare la bomba istituzionale, Giorgia Meloni sceglie la via più rapida: un incontro riservato con Sergio Mattarella al Quirinale. La premier sale al Colle per un colloquio che viene descritto come franco ma condotto in clima collaborativo. Sul tavolo, innanzitutto, le parole attribuite a Garofani e l’eco della nota di Bignami.

Secondo le ricostruzioni fornite da fonti vicine a Palazzo Chigi, Meloni spiega al presidente della Repubblica di considerare “istituzionalmente e politicamente inopportune” le frasi attribuite al consigliere, soprattutto perché pronunciate – stando al racconto di stampa – in un contesto pubblico o comunque non strettamente privato. Ma al tempo stesso, la premier precisa che la nota di Bignami puntava, nelle intenzioni, a fugare i dubbi sul ruolo del Quirinale, non ad alimentarli.

Al termine del faccia a faccia, da ambienti governativi filtra la versione di una collaborazione con il Colle “mai venuta meno” e di una vicenda da considerarsi “ridimensionata”. Dal Quirinale, però, si lascia intendere che la gestione comunicativa della maggioranza non sia piaciuta, in particolare per il rischio di dare l’idea di un braccio di ferro tra palazzi.

La frase che chiude l’incidente dal G20

La vera svolta arriva a Johannesburg, quando la domanda sul caso Garofani arriva in conferenza stampa alla fine del G20. Meloni non può evitare il tema, ma sceglie di usarlo per mettere un punto definitivo. Alla domanda sulle polemiche e sulle richieste di dimissioni del consigliere, la premier risponde senza esitazioni.

“Ho parlato direttamente con il presidente della Repubblica, ho chiarito tutta la questione”, afferma, ricordando di avere con Sergio Mattarella un rapporto definito più volte come “ottimo” sul piano umano e istituzionale. E aggiunge una frase che, nelle intenzioni, suona come archiviazione dell’intero dossier: “Non penso sia il caso di tornare su questa vicenda”.

Meloni evita accuratamente di pronunciarsi sulla seconda parte della domanda, quella relativa alle dimissioni di Garofani auspicate da alcuni esponenti del centrodestra. Preferisce insistere sull’immagine di un canale diretto con il presidente della Repubblica, riducendo il caso a un incidente chiuso in un confronto a due, lontano dai riflettori.

Conte all’attacco: “Una distrazione di massa”

Mentre la premier prova a richiudere il coperchio, l’opposizione coglie l’occasione per allargare il discorso. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, liquida l’intera vicenda come un modo per dirottare l’attenzione dalle urgenze sociali ed economiche. Il giudizio è tranchant.

“Ai cittadini non interessa questa polemica”, osserva, sottolineando come la vita quotidiana degli italiani sia segnata da salari reali in calo, milioni di persone che rinunciano alle cure e un’industria che arretra. In questa cornice, la contrapposizione sul consigliere del Quirinale viene dipinta come un espediente per occupare il dibattito pubblico con una vicenda di palazzo, mentre i numeri su lavoro, sanità e crescita restano sullo sfondo.

“Se Fratelli d’Italia e Meloni vogliono creare delle distrazioni di massa, noi non ci stiamo”, insiste Conte, che inserisce il caso Garofani in una serie di “scontri” aperti dal governo con magistratura, media e istituzioni di garanzia, con l’accusa di usare ogni controversia come arma di compattamento interno anziché affrontare i nodi strutturali del Paese.

La linea sottile tra conflitto politico e ruolo di garanzia

Al di là delle schermaglie, la vicenda pone una questione più ampia: fino a che punto una maggioranza può spingersi nel criticare l’ambiente che circonda il capo dello Stato senza mettere in discussione il ruolo super partes del Quirinale? La figura dei consiglieri, per sua natura, vive in una zona d’ombra: sono vicinissimi al presidente, lo affiancano su dossier delicatissimi, ma non hanno visibilità pubblica e diventano vulnerabili quando la politica decide di puntare il dito.

In questo contesto, un presunto scambio di battute a cena è bastato per accendere un confronto che ha reso necessaria una telefonata urgente e un incontro chiarificatore al Colle. Per alcuni osservatori, è il segno di una politica ipertrofica, pronta a trasformare qualsiasi retroscena in caso nazionale. Per altri, è la conferma che il sistema dei pesi e contrappesi funziona ancora: il Quirinale reagisce, il governo è costretto a calibrare i toni, le forze politiche misurano le parole quando entra in gioco la presidenza della Repubblica.

Resta però un interrogativo di fondo: quale immagine arriva ai cittadini? In un momento di inflazione ancora elevata, crescita fiacca e tensioni sociali diffuse, la sensazione di una classe politica concentrata su polemiche di palazzo rischia di ampliare la distanza con l’opinione pubblica. La narrazione della “distrazione di massa” fa leva proprio su questo scollamento.

Un caso archiviato, ma non dimenticato

Dal punto di vista formale, dopo le parole di Meloni a Johannesburg, il caso può dirsi archiviato. La premier rivendica di aver difeso il rispetto dovuto alle istituzioni di garanzia, giudicando inopportune le frasi attribuite a Garofani, ma allo stesso tempo chiude la porta a ulteriori strappi con il Colle. Mattarella, dal canto suo, sceglie come sempre la strada della sobrietà, evitando di alimentare ulteriormente una polemica che considera figlia di ricostruzioni giornalistiche e di un uso eccessivo delle note politiche.

Il destino del consigliere resta, almeno in apparenza, nelle mani del capo dello Stato. In Parlamento, alcune voci di centrodestra continuano a parlare di un possibile passo indietro “per opportunità”. Altri, anche dentro la maggioranza, ritengono che trasformare Garofani in un capro espiatorio rischierebbe solo di riaprire la ferita con il Quirinale.

Al netto delle scelte future, una cosa appare chiara: ogni volta che il confronto politico lambisce il Colle, il prezzo da pagare è alto. In termini di immagine internazionale dell’Italia, di fiducia dei cittadini nelle istituzioni di garanzia, di stabilità complessiva del quadro costituzionale. Il tentativo di Giorgia Meloni di chiudere il caso con poche frasi dal G20 va letto anche in questa chiave: evitare che un incidente nato da un retroscena si trasformi in una frattura duratura tra i poteri dello Stato.

Resta da capire se, alla prossima emergenza economica o sociale, la politica saprà resistere alla tentazione di spostare il fuoco delle polemiche di nuovo sui palazzi, o se tornerà a parlare di salari, sanità, investimenti, futuro. Perché, come ricorda l’opposizione, nessuna distrazione di massa può durare all’infinito quando il disagio quotidiano bussa alla porta delle famiglie.

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