Pnrr: la partita ora si gioca sulle riforme, con fisco e giustizia in prima linea

- di: Diego Minuti
 
Se non fossimo in Italia, quello che è andato in scena ieri in Parlamento,avrebbe meritato un posto d'onore nella galleria delle migliori rappresentazioni del teatro dell'assurdo. Perché, sentire Matteo Salvini inneggiare all'Europa e parlare dell'Italia come del ''suo'' Paese, solo qualche anno fa sarebbe apparso come un filmetto di fantascienza di serie C.
Ed invece è tutto vero.

L'Italia ha trovato un vero difensore dei suoi confini, uno che mostra il petto all'invasore (soprattutto se arriva a bordo di barche scassate e gommoni che si sgonfiano in mare aperto) e che è pronto a sacrificarsi per il bene supremo del Paese.
Però la nostra non è una critica, ma la presa d'atto che Salvini sta interpretando da par suo il ruolo che si è ritagliato, quello del politico che fa questo di professione e non altro e che, in omaggio a Proteo, sa fiutare quel che gli accade intorno, adattandosi ad esso per meglio sfruttarlo.

Anzi, la nostra è una celebrazione di un modo di fare politica, che forse non condividiamo, ma che resta la più redditizia in un momento in cui l'Italia, che annaspa nel mare della pandemia, ha bisogno di punti di riferimento. E se uno è certamente Mario Draghi l'altro - l'unico altro - in circolazione è Matteo Salvini, in absentia del Pd e nella vaghezza politica degli altri comprimari.
Con l'appoggio quasi plebiscitario al Piano nazionale di resistenza e resilienza, il premier ha ottenuto non un assegno in bianco ma un mandato dai limiti ben definiti, che sono determinati dalla conflittualità di una maggioranza litigiosa e spaccata che, ieri come oggi e domani, sarà sempre pronta ad implodere se gliene sarà data l'occasione.
Per questo l'orizzonte del governo non è a termine (l'elezione del prossimo presidente della Repubblica, che, almeno oggi, vedono Draghi favorito), ma certamente non è così lontano come invece la delicatezza della situazione che il Paese vive forse imporrebbe.

La gestione degli oltre 200 miliardi che arriveranno dall'Europa è un compito delicatissimo perché non si tratta di fondi di cui decidere solo la destinazione, ma di impegni e progetti sui quali Bruxelles dovrà dire la sua. Il che, per dirla con parole semplici, significa semplicemente che l'Italia resterà sotto esame, da domani sino a quando i fondi avranno compiuto la loro missione di supporto ad una economia devastata dalla pandemia. Cosa che, per assurdo, dà maggiori garanzie che le cose che si vogliono fare non si perdano nei mille rivoli che burocrazia, inanità e anche corruzione potrebbero condizionare. Tutti, oggi, a parole vogliono contribuire alla salvezza dell'Italia, anche Giorgia Meloni, che ha fatto astenere il suo gruppo, quando avrebbe potuto votare contro senza certo essere tacciata di mera volontà di distruggere.

Ma quello che oggi serve, da governo, maggioranza ed opposizioni, è che non si frappongono ostacoli strumentali al cammino delle riforme, soprattutto quelle di fisco e giustizia, dove si gioca una partita decisiva. Tutti devono potere dire la loro, tutti devono cercare di dare un contributo, ma, almeno in questo momento storico, che lo si faccia mettendo da parte ideologie o contrapposizioni personali, allo stesso modo in cui si dovrebbero evitare alleanze dettate da convenienze del momento.
Se, come amiamo dire tutti, l'Italia è il Paese più bello del mondo, ricordiamocelo quando ci sarà chiesto di contribuire a che lo rimanga per gli anni a venire.
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